PALERMO – Una corsa. Solo una corsa. Agliardi, portierino rosanero, compie un’orrenda vaccata in un derby. Qualcuno gli appoggia il pallone. Lui si china e tenta la finezza: lo stop di petto. Scivola. Il Catania fa gol. Agliardi rimane inebetito al centro della porta, appoggiato alla rete, schiantato, in lacrime. Sul ‘Barbera’ cala un tremendo silenzio. Qualche minuto dopo. Rigore per il Palermo. Calcia Eugenio Corini e spiazza Pantanelli, portiere etneo munito di berrettino parasole, anche di sera. A quel punto ‘Genio’ fa una cosa che entra nel leggendario album dei ricordi. Si mette a correre come un pazzo. Dove sta andando il Capitano? Va laggiù a consolare un amico. Sul dischetto spicca un salto. E si tuffa tra le braccia di Agliardi, che adesso piange di gioia.
Era così il nostro Palermo. Un calderone di storie e di uomini. Non ti fiondavi allo stadio per vincere o perdere – no, nessun tifoso ha mai pensato di pareggiare – ma perché sapevi che sarebbe accaduto un evento unico che avresti accarezzato per sempre. Di tali gloriose memorie sono piene le dolcissime fosse di una felicità stracciata e ridotta in mille pezzi. La rovesciata di Santino Nucco, contro la Juve Stabia, all’ultimo secondo di una partita di fango e di pioggia. Il giro di campo per l’arrivederci di Iachini, accompagnato dal boato del pubblico. Il tiro al volo di Cavani. La rete di Toni a San Siro, nel primo Inter-Palermo della ritrovata serie A. I quattro-gol-quattro di Musella al Casarano, quando si giocava al Provinciale di Trapani, in un’era rosanero magra di risultati e opulenta di sogni. E Tanino Vasari che segna, da vecchio talento, e indica il cielo per abbracciare suo padre. E Gianluca Berti che – mentre il Cesena sta rubando la partita – cavalca verso l’area avversaria. Palleggia. Passa. Un cross. Colpo di testa di Ferrara. Uno a uno.
Era così Eugenio Corini: il calco di un’epopea. L’abbiamo amato, finché era sul prato verde, perché incarnava l’eroe perfetto nell’incastro dei nostri miti, il cavaliere senza macchia e senza paura, il prode in parastinchi e calzettoni: bulloni piantati a centrocampo, testa alta, sprizzi di fantasie, scintille di lotta, garretti al vento. Cos’altro si poteva sognare di più?
E l’abbiamo amato e gli vogliamo bene pure per il suo tratto umano, perché c’era e c’è una persona generosa, ieri sotto la maglia, oggi seduta su una panchina in dissolvenza. Ti vogliamo bene, ‘Genio’. E grazie per averci ridato un sorso di dignità, per avere detto che non è la serie B il problema, ma il cuore stropicciato di una città. Di questa città ti daremmo volentieri le chiavi: sarai un palermitano, un amico, per sempre. Tu accontentati, se vuoi, delle chiavi del nostro cuore che rotola, in forma di pallone, sul prato dell’innocenza perduta.