PALERMO- Assolto e subito scarcerato il boss di Porta Nuova Salvatore Milano, condannati i titolari del negozio di abbigliamento Lory’s. Il primo era imputato per estorsione, i secondi per riciclaggio.
Si conclude così il processo d’appello. La Corte ha contestualmente disposto la scarcerazione di Milano che in primo grado era stato condannato a 4 anni e 8 mesi. Confermata la condanna a 3 anni ciascuno per Emanuele Oddo e Giancarlo Campione.
In Tribunale oltre all’estorsione a Milano, cassiere della mafia di Porta Nuova, veniva contestato anche l’autoriciclaggio per avere investito 230 mila euro nel negozio.
Solo che il reato di autoriciclaggio all’epoca dei fatti, nel 2013, non era previsto dalla legge come reato. Milano aveva davvero investito i soldi, ma non poteva essere giudicato colpevole.
Il processo di appello dunque riguardava l’estorsione e il riciclaggio contestato ai due imprenditori.
Davanti al collegio d’appello presieduto da Vittorio Anania deve avere retto l’ipotesi dei legali di Milano, gli avvocati Michele Giovinco e Jimmy D’Azzò, secondo cui, era illogico che Milano contemporaneamente investisse i soldi nell’attività e poi imponesse il pizzo ai titolari dell’attività.
Il boss Salvatore Milano era tornato in carcere dopo avere trascorso lo scorso Natale a casa (appena tre giorni). La Corte di Cassazione aveva respinto il ricorso della difesa contro il provvedimento del Tribunale del Riesame che revocò gli arresti domiciliari e ripristinò la misura cautelare in carcere.
Nei mesi precedenti la Procura aveva ottenuto l’arresto di Luigi Salerno e Giuseppe Bosco, accusati di avere imposto il pizzo ai titolari del negozio di abbigliamento Lory’s. Il Gip, invece, respinse la richiesta di misura cautelare per Milano al quale veniva anche contestato il reato di auto riciclaggio: avrebbe investito 230 mila euro nell’attività commerciale.
La Procura di Palermo, nel mese di settembre dell’anno scorso, sulla base delle indagini dei finanzieri, aveva fatto ricorso contro il mancato arresto e il Tribunale del Riesame gli aveva dato parzialmente ragione. Era stata accolta, infatti, la parte dell’ordinanza in cui a Milano veniva contestata l’estorsione, ma non quella sull’autoriciclaggio.
Quest’ultima si basava sul ritrovamento di un appunto nel negozio da cui, secondo l’accusa, emergeva un doppio investimento di Milano nell’attività commerciale per complessivi 230 mila euro.
Il Riesame disse che la prima dazione di denaro era avvenuta quando non era ancora entrata in vigore la normativa sull’autoriciclaggio, mentre per la seconda non era stata raggiunta la prova dell’investimento.
Prova che, invece, fu ritenuta solida nel caso del pizzo: “I rapporti finanziari obbediscono a una logica di investimento personale di Milano e dei soci – così scrivevano i giudici del Riesame – mentre la soggezione estorsiva si sviluppa per conto della famiglia mafiosa, cui neanche l’imprenditore in relazione con esponenti dell’organizzazione, notoriamente, può sottrarsi come testimoniato da una pletora di pronunce irrevocabili in tema di cosiddette messe a posto”.
Lo scorso ottobre Milano, Salerno e Bosco sono stati condannati per l’estorsione, mentre per Milano non ha retto l’accusa di autoriciclaggio. Nel frattempo la difesa aveva fatto ricorso contro la decisione del Riesame e la Cassazione il 19 dicembre lo rigettò, stabilendo che Milano andava arrestato. Ordine di arresto eseguito venerdì 20 dicembre. Immediata la nuova istanza dei legali, accolta dal gip.
Milano andò ai domiciliari perché si erano affievolite le esigenze cautelari: non c’era pericolo di fuga e di inquinamento probatorio visto le prove contro Milano erano ormai cristallizzate alla luce della sentenza di condanna.
Immediato anche il nuovo ricorso della Procura, accolto prima dal Riesame e infine dalla Cassazione. Milano così era tornato in carcere. Ora è di nuovo un uomo libero.