PALERMO – Non servirà a cancellare l’amarezza, ma può essere un motivo di soddisfazione. Nella motivazione con cui la Corte d’appello di Palermo ha assolto l’ex sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, i giudici hanno sentito l’esigenza di aprire una parentesi. Dopo avere spiegato che l’ipotesi di abuso d’ufficio non può essere contestata all’imputato, il collegio presieduto da Gianfranco Garofalo scrive: “Sia consentito un riconoscimento in favore dell’imputato, soprattutto in una situazione del nostro Paese che raramente vede comportamenti coerenti da parte dei pubblici amministratori”.
E poi i giudici entrano nel merito della scelta politica: “Zambuto, non appena a conoscenza del procedimento a suo carico, si è immediatamente dimesso senza attendere il provvedimento di sospensione da parte del prefetto così come previsto dalla legge Severino. Ciò ha come conseguenza che, se fosse stato sospeso, oggi a seguito della presente decisione avrebbe potuto essere reintegrato nella carioca, mentre oggi gli rimane la sola possibilità di riproporsi in sede di competizione elettorale”.
Insomma, Zambuto potrebbe cercare di tornare a fare il sindaco solo attraverso le urne. Ipotesi bloccata, però, da una legger regionale che impedisce la ricandidatura in caso di dimissione volontarie. Gli resta la consolazione delle parole dei giudici: “La presente decisione, ove divenuta irrevocabile, non ripagherà certamente l’imputato dell’incalcolabile danno, in termini politici, cagionatogli ma ha l’effetto di riconoscergli la sua totale estraneità a quanto contestatogli e la sua onorabilità personale”.
Zambuto è stato assolto dopo che in primo grado gli erano stati inflitti due mesi e venti giorni. Secondo l’accusa, che non ha retto perché non ci fui né dolo, né danno né vantaggio patrimoniale, Zambuto nel 2012 avrebbe acquistato per seimila euro due pagine pubblicitarie su un quotidiano per pubblicizzare l’attività della fondazione Pirandello, di cui era presidente. In uno degli articoli si illustravano i provvedimenti presi dall’amministrazione Zambuto e, sempre secondo gli inquirenti, in questo modo avrebbe fatto campagna elettorale a spese dell’ente. Tesi non condivisa in appello dalla Procura generale che aveva chiesto l’assoluzione, invocata anche dagli avvocati Giovanni Di Benedetto, Nino Gaziano e Girolamo La Russa.