PALERMO – Una norma già impugnata dal Consiglio dei ministri e definitivamente bocciata dalla Corte costituzionale ma che torna, seppur con lievi modifiche: il risultato però è un nuovo stop da parte del governo nazionale. È quanto accaduto con gli aumenti di alcune rette in ambito sanitario previsti dall’Ars in una quota del 7%.
Gli aumenti per le strutture sociosanitarie
Sono gli adeguamenti varati con le ultime variazioni di bilancio approvate da Sala d’Ercole a fine 2024. Il comma contenuto all’articolo 28 del ddl ‘Variazioni di bilancio 2024-2026’ autorizzava l’assessorato alla Sanità a riconoscere un “adeguamento tariffario” per quattro tipi di strutture. Sono le realtà riabilitative per disabili psico-fisico-sensoriali, le comunità terapeutiche assistite, le Rsa e i centri diurni per persone affette da autismo. Aumenti a valere sul fondo sanitario regionale.
Due stop per la norma
La norma, modificata soltanto nella sua introduzione ma non nella sostanza dell’intervento, era già stata bocciata un anno prima dal Consiglio dei ministri, che aveva impugnato la Finanziaria 2024. Sulla questione è arrivata anche la sentenza della Corte costituzionale, che ha affossato il tutto definitivamente. L’Aula, però, nel frattempo aveva ripescato gli aumenti da un disegno di legge governativo presentato nell’aprile 2024 e li aveva ‘innestati’ nelle variazioni di bilancio di fine anno.
Tra Palermo a Roma, tuttavia, prima dell’impugnativa arrivata pochi giorni fa insieme con lo stop all’articolo che annullava le elezioni di secondo grado nelle ex Province della Sicilia, c’era stato un carteggio. La relazione d’accompagnamento del ddl originario, a firma dell’avvocato generale della Regione, Giovanni Bologna, rassicurava: “Si tratta di una riproposizione di una norma impugnata e abrogata – rilevava il dirigente generale -. La riproposizione supera i rilievi fatti dallo Stato”.
I rilievi di Roma
Qualcosa, però, non è andato per il verso giusto e così anche il secondo tentativo è fallito. Lo si intuisce dalle motivazioni dell’impugnativa rese note dal dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie.
Cinque i rilievi fatti da Roma. Prima di tutto la Regione “non ha fornito elementi informativi sufficienti per valutare l’adeguamento tariffario disposto”. Nulla è arrivato sui tavoli del governo nazionale neanche per quanto riguarda i criteri e gli algoritmi di calcolo “utilizzati per definire l’adeguamento tariffario del 7%” o le fonti di dati utilizzati per calcolare l’aumento.
Osservazioni che puntano il dito sugli uffici dell’assessorato alla Salute, al tempo guidato da Giovanna Volo che ora ha rassegnato le dimissioni. La Regione, inoltre, “non ha fornito chiarimenti circa la coerenza dell’aumento tariffario prospettato con il programma operativo e il relativo quadro economico-finanziario”, come osserva ancora il dipartimento che ricorda anche un altro elemento: Palermo “allo stato attuale non ha ancora trasmesso agli uffici competenti del ministero della Salute la proposta di Programma operativo di prosecuzione del Piano di rientro”.
Il piano di rientro dal disavanzo sanitario
Quest’ultimo nodo è forse il più pesante per la Regione. Roma evidenzia infatti che la Sicilia “è impegnata nel piano di rientro dal disavanzo sanitario”: cosa che “non prevede la possibilità di aumentare le tariffe per le prestazioni assistenziali”. Da qui le conclusioni: con l’articolo che è stato poi impugnato la Regione “è venuta meno” al divieto di introdurre nuove spese relative alla sanità, violando così gli articoli 81 e 117 della Costituzione in materia di copertura di leggi di spesa e coordinamento della finanza pubblica.