Ave Maria - Live Sicilia

Ave Maria

E’ l’amore, persino quello che più ti sconvolge, il sentimento che più spesso sfiorisce nella noia e nell’indifferenza e che talvolta irrancidisce nel rancore o addirittura nella violenza. L’amicizia vera, quella no; quella è eterna.

Il pomeriggio di un giorno qualsiasi. Ho finito la lezione al Policlinico e sto per tornare a casa. Sulla Circonvallazione, la fila di macchine in attesa al semaforo di Via Perpignano è lunghissima. Accendo la radio mentre inizia l’assalto degli “uomini-tergicristallo”. La voce roca di Zucchero graffia una nenia dolcissima. Riconosco le prime parole: “Barracão de zinco, sem telhado, sem pintura, lá no morro, barracão é bangalô”. Ho un tuffo al cuore. E’ sorprendente come la musica riesca a ridestare ricordi ed emozioni sepolte sotto la spessa coltre del tempo.

Il mio pensiero va a un sabato pomeriggio di quarantadue anni fa. Una festa di compleanno, i primi palpiti, i primi rossori. Il primo rasoio, anche se la mia barba sembra piuttosto un vagar di formiche tra i brufoli dell’acne. Due amici vanno insieme alla festa. Sono inseparabili, anche se molto diversi. Io, i Beatles e Celentano; lui, i Rolling Stones e De André. Io, il Brut Fabergé; lui, l’Eau Sauvage. Io, i Calciatori Panini; lui, Diabolik e Alan Ford. Io, il ragazzo posato con vago sentore di secchione; lui, l’allegro compagnone con naturale tendenza al cazzeggio. Io, “la domenica pomeriggio vado allo stadio e poi mi vedo 90° minuto”; lui, “la domenica pomeriggio gioco a bridge”. Io, totalmente naif; lui, già “iniziato” da una diciottenne con la vocazione dell’insegnante.

Alla festa spunta una chitarra. La prende prima lui, ma io fremo per togliergliela. Voglio pavoneggiarmi con la mia voce, che è molto meglio della sua. Ma anche mostrargli i miei progressi, visto che è lui che mi ha insegnato a suonare. La chitarra passa nelle mani della festeggiata, esponente dell’eversivo partito delle ragazze carine che sanno d’esserlo. Non so chi mi ha detto che il buon chitarrista è quello che usa bene la mano destra perché la sinistra, quella che si muove sul manico, serve a cambiare le note e senza quella proprio non suoni. A meno che tu non sia mancino, come Jimi Hendrix o Paul Mc Cartney, e allora il discorso s’inverte. La mano destra della ragazza pizzica le corde e colpisce ritmicamente la cassa come le ha insegnato il grande Maestro Tarantino, che un giorno accompagnerò nelle ultime affannose note terrene prima di salire lassù a suonare per gli angeli. Sembriamo due Ulisse quando quella sirena inizia a cantare: “Barracão de zinco, sem telhado, sem pintura…”.

Cadiamo tutti e due nell’incantesimo. Che banalità, che trama ritrita: due amici che s’innamorano della stessa ragazza. E quanti “discorsi seri” di chi si offre per mediare. Come se noi, che mai abbiamo litigato in vita nostra, fossimo così ottusi da farlo “per ragioni ovvie di orgoglio e di sesso”. Lei, naturalmente, sceglie lui. Poco male, perché mi consolerò presto. A quell’età gli amori somigliano ai brufoli: sono tanti, s’infiammano e poi guariscono senza cicatrici.

Il semaforo è tornato verde e il clacson di chi mi segue mi riporta avanti di quarantadue anni. Appena a casa, cerco su internet. La canzone è del 1942, è brasiliana e si intitola “Ave Maria no morro”. Trovo la traduzione del testo: una struggente preghiera del vespero in una favela di collina dove “le baracche di zinco non hanno tetto, né pittura, ma sembrano bungalow”. Mando il link al mio amico con un messaggio di tre parole: “Niente lacrime, please”. Lui mi risponde con la commozione dell’oggi e la leggerezza di sempre. Non lo incontro da anni perché vive a San Vito, dove accoglie turisti nel suo bed and breakfast. Mentre io accolgo malati in un luogo, ad onta del nome, troppo spesso inospitale. Ma in fondo perché dovremmo piangere, noi che siamo ancora insieme anche se non ci vediamo mai.

E’ l’amore, persino quello che più ti sconvolge, il sentimento che più spesso sfiorisce nella noia e nell’indifferenza e che talvolta irrancidisce nel rancore o addirittura nella violenza. L’amicizia vera, quella no; quella è eterna. Resiste all’usura del tempo e agli affanni della vita; sorvola gelosie e incomprensioni; è porto sicuro quando la tua anima è mare in tempesta. E dopo tanti anni questa mia Ave Maria oggi s’alza per te. Il mio “grazie” verso il Cielo per aver fatto sì che un giorno lontano io t’incontrassi e che nessun canto di sirena riuscisse a dividerci. Allora come adesso, amico mio.

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