PALERMO – Solo a Palermo ammontano a 718, ma nel resto d’Italia sono molti di più. Sulla loro testa pende un giudizio severissimo: “non ammesso”. Così, dopo aver ingoiato il boccone amaro, per tutti gli aspiranti avvocati bocciati all’esame d’abilitazione per la professione è tempo di correre ai ripari. O meglio, ai ricorsi. Un vero e proprio popolo di aspiranti giuristi – se si considera che i non ammessi corrispondono al 64 per cento – infatti, sta affollando gli studi legali per presentare ricorso. Ricorso che, di fatto, per Palermo si potrebbe fondare sull’assenza della motivazione per ogni elaborato e, anche, sul mancato rispetto del giudizio collegiale e del principio dell’anonimato per i singoli test.
Gli elaborati dei 1.122 candidati, corretti dalla Corte d’Appello di Lecce, mancherebbero della motivazione. “Il difetto di motivazione è un aspetto già sotto la lente d’ingrandimento dei tribunali amministrativi di tutta Italia – spiega Simona Fell, avvocato dello studio associato Leone-Fell -. Questo aspetto non riguarda soltanto i candidati siciliani, ma tutti quanti gli aspiranti avvocati che lo scorso dicembre hanno preso parte all’esame. Ogni candidato deve avere la possibilità di poter riconoscere il perché di una grave insufficienza. E poter riconoscere questo è indice di estrema trasparenza. Se manca l’annotazione, manca una trasparenza nell’operato della commissione. È nel diritto di ciascuno, infatti, capire dove ha sbagliato”.
Dall’assenza di motivazione al voto collegiale, almeno secondo quanto previsto dalla legge. Perché se da una parte la giustizia amministrativa si è già espressa sulle annotazione a margine per ciascun compito, dall’altra alcune sentenze dimostrano quanto di fondamentale importanza sia, anche, il voto espresso da ogni membro della commissione. La prassi, infatti, prevedrebbe che ciascuno dei cinque commissari, nella valutazione degli scritti, esprima un giudizio, fino ad un massimo di 10 punti. La sommatoria dei singoli voti, poi, può raggiungere sino ai 50 punti che equivalgono all’eccellenza. “A Palermo il voto di questi scritti non rappresenta la sommatoria dei singoli voti, ma il riassunto degli stessi – spiega ancora l’avvocato Fell -. Oltre alla motivazione, è previsto che il giudizio sia collegiale”.
Il ricorso collettivo, ad una settimana dagli scrutini, vede coinvolte un centinaio di persone e almeno quattrocento hanno richiesto informazioni per poter presentare l’istanza. Istanza che potrebbe fondarsi, anche, sul mancato rispetto dell’anonimato. “Una sentenza dello scorso febbraio stabilisce che devono essere prese tutte le misure necessarie a non rendere riconoscibili i compiti – conclude Simona Fell -. Dopo la tre giorni di scritti, i tre elaborati vengono inseriti in un’unica busta e questa dovrebbe essere ri-immatricolata con un numero casuale. La commissione che recepisce i plichi, Lecce nel caso di Palermo, a sua volta dovrebbe ridistribuire in modo altrettanto casuale le buste alle varie commissioni. Sono state assegnate, invece, in ordine numerico e questo comporta una falla nella legittimità del concorso, secondo quanto già stabilito dal Consiglio di Stato”.
Gli aspiranti avvocati, inoltre, con i verbali alla mano, hanno denunciato un tempo troppo breve per la correzione dei compiti. Appena 6 minuti a scritto, in media. A porre l’accento sulla storia è anche l’avvocato Francesco Leone che ha già raccolto l’istanza di molti futuri colleghi. “Ci sono arrivate tantissime segnalazione e se il livello siciliano è già basso, con appena il 36 per cento dei promossi, il resto d’Italia non naviga di certo in acque migliori – racconta l’avvocato Leone -. Faremo una diretta streaming sui nostri canali social per azzerare i filtri tra avvocati e possibili clienti, così da mettere tutti nelle condizioni di conoscere le ragioni per un eventuale ricorso. Sembra che l’intento da parte delle istituzioni sia quello di serrare la porta d’ingresso alla professione forense. Ma, grazie a questi ricorsi collettivi ma anche individuali, si può dare una botta definitiva a chi crede che l’avvocatura sia aperta soltanto ai figli di papà, ai raccomandati o ai ricchi”.