Le Camere penali italiane hanno proclamato tre giorni di astensione dall’attività giurisdizionale. Il presidente dell’organismo di Palermo, avvocato Vincenzo Zummo, spiega le ragioni dell’iniziativa.
“L’Unione delle Camere Penali Italiane ha proclamato l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale per i prossimi giorni 7, 8 e 9 febbraio 2024 perché, nonostante dal 20 novembre 2023 fosse stato proclamato lo stato di agitazione dei penalisti Italiani che avevano denunciato le determinazioni assunte dal Governo con l’emanazione del pacchetto sicurezza, con la previsione di nuove norme tipiche del populismo giustizialista, nonostante i numerosi incontri con il Ministro Nordio, di fatto nessuna riforma di diritto penale liberale è stata introdotta e nonostante le numerose richieste avanzate.
Noi avvocati lamentiamo anche la violazione della riservatezza delle comunicazioni fra il difensore e i propri assistiti, mediante le intercettazioni, norma sostanzialmente violata attraverso interpretazioni distorte e riduttive dell’art. 103 c.p.p. .
In particolare noi penalisti Italiani chiediamo di abolire immediatamente alcuni passaggi importanti della riforma Cartabia che ostacolano il diritto ad impugnare le sentenze sia in Appello che in Cassazione.
Specificamente chiediamo di abolire novità quali il rinnovo con un nuovo atto sottoscritto dall’imputato di nomina e di procura speciale a difendere il proprio assistito per il giudizio di Appello e per il giudizio in Cassazione avente data successiva alla sentenza di condanna e di abolire il nuovo rilascio della dichiarazione di elezione di domicilio da parte dell’imputato, avente data sempre dopo la sentenza di condanna, al fine di poter accedere al giudizio in Appello e al giudizio in Cassazione; la mancata osservanza di queste formalità comporta l’inammissibilità del processo in Appello e del processo in Cassazione.
Queste due nuove formalità introdotte dalla Cartabia hanno natura vessatoria per l’esercizio del diritto di difesa, perché già esiste una precedente nomina del difensore di fiducia e perché già esiste una precedente dichiarazione di elezione di domicilio rilasciata dall’assistito nella fase iniziale delle indagini preliminari.
Dunque appare chiara la volontà del legislatore di volere ridurre il carico dei processi ricorrendo in modo eccessivo alle inammissibilità nei processi nei vari gradi d’impugnazione, limitando il diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione.
Questi impedimenti di natura tecnica veramente inutili rispetto al preesistente mandato difensivo conferito in primo grado ed all’elezione di domicilio effettuati dal cittadino al momento iniziale delle indagini creano gravi ostacoli al diritto di difesa e sono frutto di una politica giudiziaria che più in generale punta a minimizzare il ruolo dell’avvocato nel processo
Le difficoltà ad abolire queste due norme, considerate anche le resistenze della Magistratura associata, dimostrano, se ve ne fosse bisogno, che lo scopo governativo è quello di ridurre il carico dei processi penali ricorrendo a queste misure vessatorie. Questo è lo spirito autoritario di questi tempi e della politica giudiziaria giustizialista oggi prevalente.
A ciò deve aggiungersi che il processo in Cassazione è soggetto a numerose cause di inammissibilità che trovano ingresso per una Giurisprudenza autoreferenziale della Corte di Cassazione che non trova limiti rispetto a norme giuridiche non chiare e generiche, passibili di essere interpretate in modo aperto ed eccessivo.
Il giudizio di Appello, in particolare, è in grave pericolo a causa delle sue limitazioni ed è per questo che alla prossima manifestazione che si terrà a Roma per l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario dei Penalisti nei giorni 8 e 9 febbraio si discuterà anche del progetto di Riforma elaborato dalla Camera Penale di Palermo, a tutela della sacralità del diritto di ricorrere in Appello avverso le sentenze di condanna di primo grado, attraverso l’introduzione nella nostra Carta Costituzionale del principio di inviolabilità del giudizio penale di secondo grado, a modifica ed estensione dell’art. 24 della Costituzione con specifico riferimento che il diritto di difesa si esercita anche con la celebrazione del giudizio di Appello.
Noi avvocati da sempre sosteniamo che per ridurre il carico di lavoro dei processi penali bisogna ricorrere ad una seria depenalizzazione, all’amnistia e all’indulto, quando invece le norme esistenti e quelle introdotte dalla Riforma Cartabia sono caratterizzate esclusivamente dall’interesse ad affrettare in modo quantitativo la chiusura dei processi.
Ed infatti oggi il vero attacco all’autonomia della Magistratura è dato da queste istanze di efficientismo autoritario che piegano il processo penale e le garanzie difensive alle richieste imposte dal P.N.R.R. al fine di accelerare dal punto di vista quantitativo la durata dei processi penali, violando dunque le norme a tutela del diritto di difesa ed ignorando che la ragionevole durata del processo si deve coniugare con la qualità del giusto processo”.