PALERMO – “Sapeva l’avvocato Gaspare Genova che il bene immobile sarebbe stato acquisito per interposta persona dal pluricondannato per mafia Pipitone?”, il giudice pone la domanda e offre la risposta: “Probabilmente, sì”. “Una risposta probabilistica – scrive ancora il giudice Lorenzo Matassa – non può essere l’esito che il processo deve consolidare per una condanna da dichiararsi oltre ogni possibile incertezza”. Da qui l’assoluzione dell’imputato Genova “per non avere commesso il fatto”, ma con la formula dubitativa, dall’accusa di trasferimento fraudolento di beni.
I pubblici ministeri avrebbero addirittura voluto arrestare l’avvocato Genova per il suo presunto ruolo nella vendita di alcuni immobili riconducibili al boss di Carini Angelo Antonino Pipitone, padre del neo pentito Nino Pipitone. Insomma, sarebbe stato il regista occulto delle operazioni con cui l’immobile del valore di 275 mila euro fu intestato ad alcuni prestanome del mafioso.
Il gip, però, negò la richiesta di arresto, bollando come “inconsistenti” gli elementi dedotti dall’accusa. Dal canto suo Genova ha sempre respinto ogni ipotesi di reato, ribadendo la correttezza del suo operato in tre decenni di professione. Era intervenuto nella vicenda solo ed esclusivamente in qualità di legale dei suoi parenti che stavano vendendo l’immobile a coloro che, secondo l’accusa, erano gli intestatari fittizi per conto di Pipitone.
Il suo nome saltò fuori nell’inchiesta sugli uomini del clan di Carini, allora guidato dall’anziano capomafia, poi deceduto, Giovan Battista Passalacqua. Si ipotizzò che Pipitone avesse tentato di evitare il sequestro dei loro beni, intestandoli ad alcuni prestanome. Tra cui, l’insospettabile avvocato di Carini. E così per Genova era stata chiesta una condanna a quattro anni. La ricostruzione della Procura non ha retto al vaglio del giudice Matassa che nelle motivazioni dell’assoluzione scrive: “Il dubbio più profondo si insinua nell’idea che Genova, cosciente di qualche implicazione non propriamente limpida del negozio giuridico, lo abbia portato comunque avanti pensando solo di fare conseguire un vantaggio ai propri familiari ed assistiti e, magari, nella prospettiva di una cospicua remunerazione per il lavoro mediatorio svolto”.