Basta ipocrisie, a che serve ripetere: “Non è l’espressione di Catania”? - Live Sicilia

Basta ipocrisie, a che serve ripetere: “Non è l’espressione di Catania”?

Dopo gli scontri di Padova in finale di Coppa Italia

CATANIA – “Questa non è questa l’espressione di Catania”. Non serve sprecare fiato con una frase che nessuno ha più intenzione di ascoltare. E che, soprattutto, nessuno pensa che possa essere l’alibi a tutto. 
La piazza della passione rossoazzurra, quella vera e autentica e non al servizio della repressione personale di qualche barbaro, martedì sera ha conosciuto a Padova l’umiliazione più grande così come non accadeva dalla sempre viva e attuale tragedia del 2 febbraio. 

Un macabro mosaico di immagini sono arrivate nelle nostre case e nei nostri smartphone certificando l’impossibilità dell’ambiente di liberarsi della peggiore teppaglia catanese. Quella che va in cerca del casino a tutti i costi e per la quale il calcio è solo la millanteria con la quale poter far danno. Violenza per violenza dove la partita è solo un’occasione. Piccole pattuglie, non eserciti. Ma che non si riesce proprio ad arginare. Spedizioni delinquenziali come quella allo stadio “Euganeo” ma anche come quella del dicembre scorso, in strada, al pullman del Pescara. 

Ed al di là della consueta retorica e delle frasi di circostanza istituzionale che ricalcano il più classico dei dopopartita (tanto per rimanere in tema) sappiamo che la vergogna è allo scoperto ed è inutile tentare di nasconderla sotto una foglia di fico. Il senso prevalente dell’indignazione verte su una comune paura: che il giocattolo più amato dai catanesi rischi di non essere più credibile, che gioie e sofferenze non appartengano più al campo di calcio ma siano ostaggio dell’umore dei teppisti. 

In attesa delle eventuali ma inevitabili decisioni del giudice sportivo, non si può restare a guardare. Si cambi mentalità, lo si faccia una volta per tutte: lo impone il senso di responsabilità ma anche quella speranza profondamente ferita nei volti di quei ragazzini letteralmente fuggiti via – mano nella mano dei loro genitori,- dallo stadio “Euganeo”, terrorizzati e credendo che il calcio sia un Colosseo ripopolato da bestie feroci.

Che poi, forse, è davvero così.  


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