CATANIA – Si potrebbe certamente affermare che la stagione estiva rappresenti, per i più, uno dei periodi dell’anno maggiormente attesi in quanto vitale “momento di pausa” dalla routine degli impegni lavorativi (ma anche scolastici e di studio per i più giovani), ed importante occasione per il “recupero” delle energie spese, affinché poter ripartire “carichi e rigenerati”, pronti per affrontare al meglio il nuovo anno e la ripresa delle varie e molteplici attività che esso porta con sé.
Eppure, se per molti soggetti è proprio così, per altri questo periodo di pausa rappresenta un “momento emotivamente difficile da vivere e da gestire”, tanto che è proprio durante l’intervallo estivo che è possibile riscontrare, in alcuni casi ed in maniera quasi paradossale, un incremento di condizioni di malessere psicologico.
La bella stagione mette a nudo alcune nostre fragilità
Ma com’è possibile che proprio in un momento destinato al recupero del benessere psicofisico si registri invece un aumento del disagio psicologico attraverso l’emergere ed il palesarsi di vere e proprie “crisi emotive”, connotate da sentimenti di angoscia e tristezza, fluttuazioni dell’umore e vissuti depressivi?
A questo proposito, nei casi piú definiti e conclamati, si parla di un vero e proprio disturbo stagionale denominato Summer-SAD (Seasional Affective Disorder, nella sua forma estiva), individuato e descritto dallo psichiatra Normann Rosenthal, che si caratterizza per evidenti e rilevanti cambiamenti nei livelli di energia, alterazioni del ritmo sonno-veglia con conseguenti disturbi del sonno, spossatezza ed irritabilità, difficoltà di concentrazione e di memoria, bruschi cali del tono dell’umore che comportano, seppur per un periodo di tempo limitato, serie compromissioni negli ambiti di vita del soggetto, sia familiare che sociale.
Al di là di questa forma maggiormente delineata e, pertanto, inserita nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V) come vero e proprio disturbo depressivo maggiore ricorrente con andamento stagionale, che vede la combinazione di fattori psicosociali e climatici quale causa dello stato patologico in essere, si vuole qui fare riferimento a tutte quelle condizioni piú lievi e generali e probabilmente, in virtú di ciò, maggiormente diffuse, che accomunano diversi soggetti per il loro essere legate a motivi di natura psicologica, che vanno ad interagire con alcune variabili di ordine sociale e culturale tipiche della nostra società e del particolare momento storico che stiamo vivendo.
Lo “spazio vuoto”
Piú precisamente, si vuole rimandare alla “valenza simbolica” del periodo estivo quale “spazio vuoto”, sgombro da obblighi e doveri e da ritmi serrati ed incessanti che, sebbene possa apparire contraddittorio, svolgono tuttavia una “funzione di protezione” dal disagio del fermarsi e del trovarsi “senza nulla da fare”.
In questo particolare momento dell’anno ci si ritrova piú esposti a condizioni meno strutturate e, paradossalmente, privi di quella “sensazione di contenimento” che le stesse, suppur comportando non poca fatica, svolgevano fino ad un attimo prima.
E’ anche abbastanza comprensibile come durante la “corsa” risulti piú semplice, quasi non si possa fare altrimenti per via dell‘impegno che la stessa richiede, accantonare e mettere da parte eventuali questioni scomode e spinose che rimangono cosí sospese ed irrisolte, e/o problematiche che restano sotto soglia fino al concludersi degli impegni che toglievano tempo e modalità per poterle affrontare.
E’ cosí che la pausa estiva funge da vera e propria “cassa di risonanza” per via della possibilità che offre di “poter entrare in contatto con sè stessi” o, meglio, di “doverlo fare” in maniera quasi obbligata, anche se non si vorrebbe.
In questo processo di amplificazione, quando tutto intorno si ferma, il ritrovarsi “in ascolto di sé stessi” comporta inevitabilmente il dover prendere forzatamente atto anche dei propri limiti, delle proprie fragilità, ansie ed insicurezze…
E’ un pò mettersi alla prova
E tutto ciò, in fondo, non è proprio quello che ci caratterizza come “esseri umani”, fallibili ma nella nostra “autenticità”?
Peccato che oggi la società in cui viviamo, sempre piú frenetica e competitiva, mostri tutta la sua predilezione per l’“iperattività” come modalitá elettiva per poter raggiungere gli obiettivi prefissati, dove non è possibile sfuggire all’“imperativo del produrre senza sosta”, e al “mito del superuomo” che deve mostrarsi sempre all’altezza delle richieste sociali e “performante al massimo”.
E’ chiaro come ciò non permetta neanche lontanamente di poter mettere in conto possibili “defaillances” dovute proprio alla nostra “imperfettibilitá”, in quanto individui sicuramente unici, ma aventi anche limiti che psiche e corpo ci impongono, e che dovremmo piuttosto riconoscere ed ammettere, affinché poterli accettare senza temerli e combatterli.
Ecco dunque come questo periodo si mostri in tutta la sua “complessità”, tale per cui non rappresenta solo ed esclusivamente un momento di relax, allegria e spensieratezza, cosí come peraltro voluto da una visione tradizionale (che vede il tempo libero estivo da riempire con viaggi e divertimenti vari!);
in alcuni casi, piú frequenti di quanto si pensi, il periodo estivo è anche altro: il dover fare i conti col “vuoto” originato dal momento di pausa, che diventa una sosta temuta poiché vissuta con angoscia e malessere.
Alcuni suggerimenti pratici
Tra gli spunti di riflessione ed i suggerimenti pratici che potrebbero aiutare nella gestione della fase appena descritta, sicuramente bisogna far rilevare la questione della “temporaneitá”: quello che infatti potrebbe in parte incoraggiare è che fortunatamente si tratterebbe di un disagio passeggero e circoscritto ai soli mesi estivi di pausa e vacanza, che tenderà a scomparire man mano che i vari impegni riprenderanno (..anche se poi, a breve si dovranno fare i conti con l’altrettanto temuto stress da iperattività!).
Inoltre appare importante e fondamentale un lavoro su sè stessi attraverso il quale “legittimarsi” a staccare dagli impegni e fermarsi, senza farsi assalire dai sensi di colpa che scaturiscono dalla sensazione di “star buttando via del tempo” poichè non si sta facendo niente di utile. Concedersi quindi, in maniera serena, la preziosa occasione rappresentata dalla pausa estiva per potersi rigenerare, lontani da pressioni e doveri.
Infine, il tutto potrebbe rivelarsi vano se non si mette in conto, a monte, l‘accettazione delle propria condizione di limitatezza, che prevede la presenza piú che legittima di stati d’animo ed emozioni anche negativi, dandosi cosí il permesso di poter essere autenticamente sé stessi, mostrandosi sempre coerenti con ciò che realmente si prova, cosí da riuscire a trasformare un momento di disagio in un’occasione per guardarsi dentro e raggiungere dei buoni livelli di consapevolezza e maturità.
Il malessere provato in questi giorni particolari, se saputo accogliere nel giusto modo, ha la funzione di auto-legittimarsi a poter vivere le varie esperienze di vita “per quello che sono”, senza obblighi né vincoli di alcun tipo. Certe dinamiche, che è possibile definire vere e proprie “trappole della mente”, si nutrono infatti proprio della convinzione di doversi attenere alle aspettative date da un particolare periodo: in questo caso quello estivo, rigorosamente caratterizzato da momenti di relax, divertimento e spensieratezza, ad ogni costo!
Se non ci si dovesse riconoscere in grado di poter mettere in atto da soli gli accorgimenti suggeriti, non si dovrà avere timore nè vergogna di chiedere aiuto a degli specialisti del settore psicologico che potranno rappresentare un valido supporto in questi momenti di difficoltà.
…Perché quel che è certo è che la salute psicologica non dovrebbe ammettere periodi di vacanza, ed il prendersi cura di sè dovrebbe essere sempre prioritario!
[Pamela Cantarella è una Psicologa Clinica iscritta all’Ordine Regione Sicilia (n.11259-A), in formazione presso Scuola di Psicoterapia ad orientamento Sistemico-Relazionale]