La Torre contro Don Ciotti | "Dovevamo vigilare" - Live Sicilia

La Torre contro Don Ciotti | “Dovevamo vigilare”

Franco La Torre e don Luigi Ciotti

C'è anche il caso Saguto all'origine della scelta del figlio di Pio La Torre di divorziare dall'associazione antimafia. "Hanno il prosciutto nelle orecchie, se lo tolgano, nulla di grave”.

beni confiscati
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PALERMO – “Mi dicono che a Palermo lo sapevano tutti. Mi sarei aspettato che Libera ponesse il problema visto che sui beni confiscati ha fondato la sua forza. Hanno il prosciutto nelle orecchie, se lo tolgano, nulla di grave”.

Eccolo uno dei motivi per cui Franco La Torre, ormai ex componente del consiglio di presidenza di Libera, ha deciso di andare via dall’organizzazione di don Luigi Ciotti. Libera, a suo dire, non avrebbe tenuto le antenne dritte sulla gestione “scandalo” dei beni sottratti ai boss che ha portato all’azzeramento della sezione misure di Prevenzione del Tribunale palermitano. A cominciare dal suo ex presidente Silvana Saguto, finita sotto inchiesta e sospesa dal Csm. “Si sturino le orecchie”, aggiunge La Torre pronunciando la frase in dialetto siciliano e sgombrando da possibili dubbi: non è polemico, di più.

Il figlio di Pio La Torre, l’ex segretario del Pci siciliano che assieme a Rognoni firmò nel 1982 la legge per colpire i patrimoni mafiosi, individua nel caso Saguto e in Mafia Capitale le spie dell’inefficienza della classe dirigente di Libera che avrebbe bisogno di una radicale ristrutturazione. “Siamo arrivarti dopo la magistratura. Non abbiamo capito che stava accadendo tutto questo – aggiunge – non va bene che una mattina ci si alzi, si legga il giornale e si scopra il caso. Non ce lo possiamo permettere”. Cosa si poteva fare a Palermo? “Non lo so, non ho ricette. Certamente si doveva analizzare il problema”. E se gli fai notare che in molti, per ultima la Commissione nazionale antimafia, il sistema Palermo lo avevano passato al setaccio finendo per elogiarlo, La Torre taglia corto: “Magari anche noi avremmo concluso che le cose andavano bene. Si può sbagliare nelle conclusioni, ma non accorgersene no. Non si può”.

È innegabile che l’esigenza di combattere la mafia colpendo i patrimoni dei boss sia diventata una enorme macchina economica. Nel panorama del movimento antimafia Libera è una holding (termine che non piace affatto al suo fondatore). L’organizzazione, nata per la promozione della legalità e l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie, oggi è alla guida un coordinamento di oltre 1500 tra associazioni e gruppi, che gestisce 1.400 ettari di terreni, dà lavoro a 126 persone e muove un fatturato che sfiora i sei milioni di euro.

Ad inizio di novembre, durante l’assemblea nazionale di Libera, ad Assisi, La Torre aveva chiesto a gran voce un confronto perché, alla luce dei numeri sopra citati, “Libera è molto cresciuta in questi anni, serve un nuovo modello di organizzazione. Si deve avviare un progetto di formazione della classe dirigente, non si può dirigere tutto da Roma. Il mio discorso non è stato gradito (pochi giorni dopo Ciotti gli comunicò la ‘rottura del rapporto di fiducia’ ndr’), nonostante l’abbia fatto in un contesto dove è fondamentale la libera espressione del pensiero”. Da qui la scelta di fare un passo indietro che rende esplicito il malessere che da tempo covava nel movimento antimafia. “Io voglio bene a Libera e a Luigi, abbiamo lavorato bene in questi anni e speravo – spiega La Torre -, anzi spero, perché sono un ottimista, che le mie parole siano un’occasione di crescita”. Per il momento non è andata così. Oggi l’ormai ex rappresentante di Libera mette in guardia dai “rischi dell’antimafia di convenienza” e di quella che si fa “schermo di interessi indicibili”. Ed è in questo contesto che l’organizzazione di don Ciotti non avrebbe fatto sentire la sua voce: “Ci siamo fatti sentire a L’Aquila nel post terremoto e in Lombardia, ma non a Palermo per le Misure di prevenzione e a Roma per Mafia Capitale. Il nostro compito si è affievolito”.

Ciotti non ci sta, dalle colonne di Repubblica difende l’organizzazione (“Non c’è nessun problema, Libera sta lavorando bene”) e spiega che “prima si conosceva il nemico, era la mafia, ora gli attacchi arrivano da più parti”.

Chissà se alla voce “attacchi” vadano inserite le parole di Silvana Saguto. A chi le ha contestato, intercettazioni alla mano, di avere fatto favorito amici e parenti nella scelta degli amministratori il magistrato rispondeva che i “nomi di persone valide li abbiamo chiesti anche ad associazioni antimafia come Libera”. Circostanza che un paio di mesi fa Libera smentì categoricamente.

 


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