PALERMO – La cronaca del pomeriggio di follia inizia intorno alle 15 di sabato scorso. Una Fiat Punto grigia arriva alla pompa di benzina di piazza Lolli. Al volante c’è Mario Di Fiore, 63 anni, piccolo imprenditore edile. È incensurato. Un tempo gli affari andavano a gonfie vele, anche per via di qualche commessa pubblica. Oggi deve fare i conti, come tutti, con la crisi, m non naviga in cattive acque. Abita a Brancaccio, ma sta andando a casa della figlia che vive in zona. E decide di fare benzina.
Nicola Lombardo Lombardo fa il pieno. Il conto viene 68 euro. Troppi, secondo Di Fiore che di solito di euro dice di pagarne al massimo 61. E così scende a controllare la colonnina. Inizia un battibecco. “Sessantotto euro, non ho un camion”; “Mi dia i soldi, devo guadagnarmi il pane”; “No, i piccioli stavolta me li dai tu”. Tutto questo lo racconterà lo stesso Di Fiore davanti ai poliziotti. Scende dalla macchina e spara un colpo che raggiunge Lombardo alla milza (l’omicida dirà che il benzinaio ha provato ad aggredirlo, una tesi che cozza con il fatto che il proiettile ha centrato la vittima mentre era quasi girato di spalle).
Di Fiore risale e in macchina e va via. Arrivano i soccorsi e Lombardo fa in tempo a dire che a sparargli è stato un uomo di circa sessantanni, con i baffi. E comincia il difficile lavoro degli agenti guidati dal questore Guido Longo e dal capo della Mobile, Rodolfo Ruperti. Sono in contatto con il pubblico ministero Ennio Petrigni e con il procuratore Francesco Lo Voi che prende in mano il caso. Siamo di fronte ad una dinamica anomala per parlare sia di rapina che di agguato. Circostanza che complica le indagini. Si parte da un frammento di targa riperso dalla telecamera di un negozio vicino e dalla testimonianza di un passante che ha confermato di avere visto una macchina di colore scuro allontanarsi.
Gli agenti della terza e della sesta sezione della Mobile analizzano quindici mila targhe di automobili. Praticamente, fanno il giro di mezza Italia. Poi, la svolta: ecco che viene individuata la macchina di Di Fiore. Ha 63 anni e porta i baffi. Non c’è alcun elemento che lo leghi al benzinaio. La figlia, però, abita poco distanza da piazza Lolli. L’imprenditore viene rintracciato. Si trova nello studio di un geometra e, dice ai poliziotti, se possono aspettare qualche minuto. Il tempo di firmare un atto. Quindi, lo mettono alle strette. All’inizio si trincera dietro il silenzio. Infine, capisce di non avere via di scampo. “Sono stato io. La benzina era cara. Speravo che non mi rintracciaste, ma vi stavo aspettando. Ho pianto appena ho saputo dal giornale che il benzinaio era ed aveva due figli”. La confessione non basta. Serve anche l’arma del delitto. Di Fiore indica agli uomini guidati dal capo della Sezione omicidi Carmine Mosca il luogo dove la conserva. È in garage assieme ad altre armi, un fucile da caccia e una calibro 357. Sono regolarmente denunciate, a differenza della 7.65 che ha ucciso Lombardo, nel frattempo deceduto all’ospedale Civico.
“L’ho trovata alcuni anni fa. La porto sempre con me perché ho paura”, spiega Di Fiore collegando la scelta di andare in giro armato alle due rapine subite quando ancora c’erano le lire. Bottino cinque e sette milioni. Nel garage ci sono pure delle cartucce, compatibili con il bossolo trovato per terra nella pompa di benzina. È la chiusura del cerchio investigativo. Per Di Fiore scatta il fermo, che adesso dovrà essere convalidato dal giudice per le indagini preliminari.