"La sala Bingo della mafia"| Raffica di prescrizioni e un assolto - Live Sicilia

“La sala Bingo della mafia”| Raffica di prescrizioni e un assolto

La sala bingo Las Vegas di viale Regione siciliana

Una sfilza di prescrizioni e un'assoluzione. Si chiude con un nulla di fatto il processo sulla Sala bingo Las Vegas di viale Regione Siciliana, a Palermo.

PALERMO - SENTENZA D'APPELLO
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PALERMO – Una sfilza di prescrizioni e un’assoluzione. Si chiude, praticamente, con un nulla di fatto il processo sulla Sala Bingo Las Vegas di viale Regione Siciliana, a Palermo. Più che una sala bingo, secondo l’accusa, era una lavatrice per ripulire i soldi di Cosa nostra.

In appello, però, la prescrizione cancella le pesanti condanne inflitte in primo grado. Scatta il non luogo a procedere per Alessandro Mannino, nipote del capomafia Salvatore Inzerillo, Vincenzo Marcianò, considerato il reggente del mandamento di Boccadifalco, Rosario Inzerillo, indicato come capo della famiglia di Altarello, e il cognato di quest’ultimo, Filippo Piraino. Erano stati tutti condannati a sei anni con l’accusa di trasferimento fraudolento di denaro di provenienza illecita aggravato dall’avere favorito Cosa nostra.

Esce pulito dal processo, incassando un’assoluzione nel merito con la formula perché il fatto non sussiste, Francesco Casarubea. In primo grado gli erano stati inflitti sette anni. Erano già state assolte, e la sentenza è ormai passata in giudicato, le sorelle Olga, Cristina ed Emanuela Casarubea. Il padre Domenico è deceduto nel corso del processo. La Corte d’appello ha ordinato la restituzione a Casarubea, difeso dall’avvocato Ninni Reina, del 20% della società della Las Vegas Bingo srl che nel 20007 era finito sotto sequestro. Nel frattempo, la società che gestiva una delle sale bingo più grandi d’Europa, è stata dichiarata fallita.

Il là alle indagini arrivò dalle conversazioni di Nino Rotolo, intercettate nel box dell’Uditore dove il capomafia di Pagliarelli convocava i suoi uomini. Poi, i collaboratori di giustizia Francesco Campanella, Francesco Franzese e Andrea Bonaccorso raccontarono che più famiglie mafiose avevano trovato l’accordo per sfruttare la sala bingo, oggi in amministrazione giudiziaria e regolarmente in attività. I boss Nino Rotolo e Salvatore Lo Piccolo erano acerrimi nemici, eppure, secondo i pm, di fronte agli incassi del Bingo di Villa Tasca avevano messo da parte i conflitti. Una ricostruzione che ha retto al vaglio dei giudici, ma su cui ora si abbatte oggi la prescrizione.


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