Blitz contro la mafia americana |Quel che resta dei vecchi padrini - Live Sicilia

Blitz contro la mafia americana |Quel che resta dei vecchi padrini

Quarantasei arresti. Colpite le famiglie Bonanno, Gambino, Genovese e Lucchese.

PALERMO – Hanno soprannomi da saga cinematografica hollywoodiana, radici nelle vecchie e potenti famiglie mafiose, ma non il peso criminale dei loro predecessori. La maxi retata dell’Fbi manda in carcere 46 padrini, da New York a Miami.

Alla guida del gruppo ci sarebbe stato un triumvirato: Joseph Merlino, detto il Magrolino (boss di Filadelfia arrestato in una villa in Florida. Ai nuovi boss i soldi non mancano), Pasquale Patsy Parrello, proprietario di un ristorante nel Bronx, ed Eugene Onofrio, soprannominato il Gallo. Bische clandestine, estorsioni, contrabbando di sigarette, strozzinaggio, imposizioni di macchinette videopoker, traffico d’armi e truffa al sistema sanitario con alcuni medici obbligati a prescrivere farmaci costosi poi rivenduti al mercato nero: è lunga la scia di reati che i poliziotti federali hanno stoppato – segno che l’attenzione sulle storiche famiglie mafiose resta alta -, ma siamo lontano dai fasti di un tempo. Lo dimostra l’arresto, avvenuto in un’alta operazione, di John Gotti, nipote e omonimo del vecchio padrino morto nel 2002 in un carcere federale. Il giovane, 23 anni appena, è stato arrestato perché vendeva oppio.

Il blitz di ieri colpisce quattro storiche famiglie: Gambino (di cui il vecchio Gotti è stato il più potente dei rappresentanti), Bonanno, Genovese (fondata negli anni Trenta da Charles Lucky Luciano) e Lucchese. Famiglie che in America avevano fatto soldi a palate con la droga e poi si erano infiltrate nei grandi appalti, nelle commesse pubbliche e nell’alta finanza.

Erano gli anni Ottanta e i corleonesi erano diventati i signori del narcotraffico grazie agli agganci oltreoceano. Dai paesi orientali si importavano tonnellate di morfina base che abili chimici assoldati dalla mafia siciliana trasformavano in eroina purissima. Ed è pensando a quella stagione, nella speranza di riviverla, che nel 2003 lo zio Bernardo Provenzano, inviò i suoi emissari per riattivare i rapporti con le famiglie di New York.

Si affidò a Nicola Mandalà, 40 anni, rampante boss di Villabate, e Gianni Nicchi, 27 anni, u picciutteddu che il padrino Nino Rotolo volle accanto a sé nel mandamento di Pagliarelli. Giovani e affidabili, ma pur sempre giovani. E così i poliziotti avrebbero scovato le fotografie che li ritraevano, con ragazze al seguito, a bordo di lussuose Limousine o al tavolo di prestigiosi ristoranti. Tutto a spese di Cosa nostra. Persino lo stesso Mandalà ammise, intercettato dalle microspie, di avere esagerato: “Troppi soldi abbiamo speso. Troppi, troppi, troppi… Quarantamila euro. Pazzesco. Diciannovemila euro è costato solo l’albergo. E poi là, in quel posto: altri ventimila euro”. Qualche tempo dopo ci sarebbe stata una seconda missione. Con Mandalà, ma senza Nicchi. Nel frattempo, infatti, era scoppiata di nuovo la grana degli scappati. Salvatore Lo Piccolo, boss di San Lorenzo, pianificava il rientro di coloro che erano fuggiti in America per scampare al piombo corleonese nella guerra degli anni Ottanta. Rotolo, padrino di Nicchi, degli scappati non voleva neppure sentire l’odore.

Ed, invece, tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila i sopravvissuti cominciarono a rientrare. Per primi gli Inzerillo. Rotolo era una furia: “Questi Inzerillo erano bambini e poi sono cresciuti, questi ora hanno trent’anni. Come possiamo, noi, stare sereni… Se ne devono andare. Devono starsene in America. Rotolo non riusciva, però, a tirare dalla sua parte Provenzano, che prendeva tempo: “Ormai di quelli che hanno deciso queste cose non c’è più nessuno – scriveva nelle sue lettere – a decidere siamo rimasti io, tu e Lo Piccolo”. La verità è che i soldi degli Inzerillo facevano gola. Vagonate di denaro grazie agli affari con le famiglie americane Gambino e Calì.

Oggi i boss siculo-americani hanno ancora grandi disponibilità finanziarie, ma il loro potere è offuscato dal nuovo che avanza e parla cinese, colombiano e messicano. E così gli eredi delle potenti famiglie mafiose sono costretti a ritagliarsi un microcosmo fatto di pizzo, contrabbando e gioco clandestino. Proprio come fece il fondatore della prima famiglia mafiosa di New York, Paolo Morello, originario di Corleone. In America vi arrivò nel 1892, iniziò la sua scesa criminale falsificando dollari fino a diventare mandante di oltre 50 omicidi. Memori del passato, i federali, oggi come ieri, monitorano i boss emergenti.

 


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