PALERMO – Il botta e risposta prosegue. All’inizio Fiammetta Borsellino ha attribuito anche al pubblico ministero Antonino Di Matteo responsabilità per le lacune e le presunte omissioni della magistratura che hanno portato al mancato accertamento della verità sulla strage in cui furono uccisi il padre e gli agenti di scorta.
Di Matteo, in risposta, ha chiesto di essere ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia, davanti alla quale ha così replicato: “Si è parlato di 25 anni di depistaggi e silenzi, si è parlato di 25 anni persi nella ricerca della verità. Sono affermazioni profondamente ingiuste e molto pericolose particolarmente utili a chi teme che l’accertamento della verità possa andare avanti”.
Di Matteo ha poi precisato che non fu lui a raccogliere le dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Sarantino su cui sono stati costruiti processi su processi culminati con la condanna di innocenti: “Quando vennero avviate le indagini io non ero magistrato ma uditore. Solo nel novembre del 1994 entrai a far parte della distrettuale con indagini avviate su dichiarazioni di pentiti che non avevo mai ascoltato. Questa è la verità oggettiva, non mi sono a nessun titolo mai occupato del primo processo sulla strage di via D’Amelio, quello delle dichiarazioni di Scarantino. Unico troncone che ho seguito in ogni parte è il ter”.
La risposta di Fiammetta Borsellino è arrivata ieri in una intervista a Massimo Martini: “È vero che Di Matteo non ha partecipato alla fase delle indagini ma è stato pubblico ministero in dibattimento, ovvero nel luogo dove si forma la prova e dunque il pm ha la possibilità anche di stravolgere quanto ricevuto dall’indagine”.