Borsellino, il racconto del boss: l'impatto con la mafia già a 10 anni

Borsellino, il racconto del pentito: “La Barbera e mio zio…”

Le parole di Vito Galatolo
CALTANISSETTA
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CALTANISSETTA – “Sono del quartiere dell’Acquasanta e cresciuto nella famiglia mafiosa dell’Acquasanta finché ne sono diventato il rappresentante. Poi sono diventato capomandamento di Resuttana nel dicembre del 2012. Io sono nato in una famiglia mafiosa, mio padre era Vincenzo Galatolo. Già all’età di 10 anni facevo la sentinella per vedere chi entrava nel nostro covo”. Comincia così il racconto di Vito Galatolo, oggi sentito in collegamento da un luogo segreto, nel corso dell’udienza del processo sul depistaggio delle indagini della strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta. In aula il suo avvocato Fabrizio Di Maria.

La mafia da bambino

“Facevo di tutto – ha continuato Galatolo rispondendo alle domande del pm Maurizio Bonaccorso, applicato alla Procura – ospitavamo le persone, nascondevamo armi. Crescendo mi sono occupato anche degli affari di famiglia”. Una carriera, quella dell’ex boss, iniziata fin da quando era bambino come lui stesso ha raccontato.

Nel dibattimento, che si celebra a Caltanissetta, sono imputati tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di aver imbeccato il falso pentito Vincenzo Scarantino per costruire una falsa verità sull’eccidio. I tre imputati facevano parte del gruppo investigativo Falcone-Borsellino guidato da Arnaldo La Barbera. La Corte d’Appello, presieduta da Giovanbattista Tona, ha disposto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale e l’esame dei collaboratori di giustizia Vito Galatolo e Francesco Onorato, quest’ultimo era stato sentito nella scorsa udienza.

“La Barbera e mio zio…”

Nel covo di vicolo Pipitone veniva Faccia di mostro (il poliziotto Giovanni Aiello ndr), noi lo chiamavamo così perché ci faceva paura quando arrivava. Venivano Bruno Contrada, Arnaldo La Barbera e altri poliziotti”. E’ il racconto del collaboratore di giustizia Vito Galatolo, oggi sentito come teste al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio che si celebra in Corte d’appello a Caltanissetta, riferendosi al periodo tra il ’90 e il ’91.

“In due occasioni mio zio Giuseppe – racconta Galatolo – si ritirò a parlare con La Barbera in uno scantinato. Veniva di sera e non di giorno. Una di queste volte è entrato nel vicolo e uno dei miei cugini gli ha fatto segnale di andare avanti ma lui fece capire che già sapeva dove doveva andare. Nella mia famiglia si diceva che La Barbera era uno che ‘mangiava peggio degli altri’ ma che comunque era una persona a cui Nino Madonia teneva tantissimo”. La deposizione di Galatolo si ricollega a quella del pentito Francesco Onorato che nell’ultima udienza aveva parlato di una presunta vicinanza tra l’ex questore Arnaldo La Barbera e alcuni esponenti di Cosa Nostra come Totò Riina e i Madonia. “Io di cosa parlavano mio zio e Arnaldo La Barbera non lo so. Quello che so è quello che ci diceva a noi mio zio Giuseppe, che era una persona che stava a cuore dei Madonia e che era a libro paga dei Madonia. Mio zio non mi disse mai che La Barbera faceva parte dei servizi segreti, da quello che ricordo, si seppe dopo”.

“Non uccidete La Barbera”

“Mi ricordo che Mimmo Fasone era un ragazzo in gamba. Tra il 22 e il 23 dicembre del ’91 ci eravamo scambiati gli auguri di Natale poi, ai primi di gennaio del ’92, successe questa cosa che fu ucciso da La Barbera”. Anche Vito Galatolo, oggi sentito a Caltanissetta nell’udienza sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio, così come ha fatto nella scorsa udienza il pentito Francesco Onorato, si è soffermato sull’omicidio di Girolamo Fasone che, durante una rapina, fu ucciso da Arnaldo La Barbera, all’epoca capo della Squadra Mobile.

“Quando il giornale pubblicò la notizia che Arnaldo La Barbera aveva ucciso Mimmo Fasone – ha continuato Galatolo – ci fu tanta rabbia, perché comunque un ragazzo giovane era stato ucciso. E si cominciò a dire di ‘andare a rompere le corna’ a questo La Barbera’. Dicevamo ‘ma come si è permesso a uccidere questo ragazzo?’. Ma poi mio cugino Angelo e i miei zii disse che non si poteva fare perché Madonia teneva a La Barbera”.

Gli omicidi alla ‘casuzza’

“Nella casuzza di vicolo Pipitone sono stati commessi tantissimi omicidi. Ne venivano fatti diversi al giorno. Venivano da tutte le città a fare omicidi lì dentro”. A fare l’agghiacciante racconto è ancora il collaboratore di giustizia Vito Galatolo. “C’è stato un certo Palazzolo – ha detto il teste – che era un confidente dei carabinieri che è entrato e non è uscito più. Un giorno uno è entrato nello stesso scantinato dove La Barbera si vedeva con mio zio. Questo ci stava scappando e Salvo Madonia gli ha sparato là dentro. Poi è stato un certo Sirchia. Poi c’era gente che arrivava da diversi paesi che portavano persone che si uccidevano pure là. Era un viavai di persone. Quando hanno ucciso il generale Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, da quella casuzza, da quello scantinato è partito il commando per gli omicidi”.


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