Bruciata viva dal marito| “Voleva ucciderla e farla soffrire” - Live Sicilia

Bruciata viva dal marito| “Voleva ucciderla e farla soffrire”

Dopo la sentenza della Cassazione, si è aperto ieri il nuovo processo per l’omicidio di Maria Rita Russo, la 31enne giarrese data alle fiamme dal marito, Salvatore Capone. SULLA SCENA DEL CRIMINE - IL VIDEO

la requisitoria del pg
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CATANIA. In poco più di un’ora il procuratore generale Concetta Maria Ledda, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Catania, ha ricostruito in aula il dramma vissuto dalla 31enne giarrese Maria Rita Russo il 12 novembre del 2009, quando il marito, Salvatore Capone, la cosparse di alcol e le diede fuoco, uccidendola.

Dopo la pronuncia della prima sezione della Corte di Cassazione, che lo scorso maggio ha annullato la sentenza d’appello a 30 anni, limitatamente all’aggravante della premeditazione per la mancanza di elementi a supporto, ieri mattina si è aperto il nuovo processo di secondo grado davanti ad una nuova sezione della Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Antonio Giurato.

E proprio sulla premeditazione si è incentrata la requisitoria del procuratore generale.

Per l’accusa nulla lascerebbe presupporre ad un delitto d’impeto. A partire dalla scena del delitto, l’abitazione dei coniugi, dove non sarebbero state rinvenute tracce di una lite furibonda. Ma a non lasciare dubbi in proposito sarebbero soprattutto le testimonianze dei vicini di casa, resisi conto di quanto stava accadendo solo dopo aver sentito e visto sul balcone la vittima, già gravemente ustionata. Quella mattina tra marito e moglie non sarebbe esploso alcun litigio. Elementi che, sempre per l’accusa, porterebbero in un’unica direzione, la premeditazione del delitto.

E’ nel corso della notte precedente all’omicidio che, ha ribadito il pg Ledda, l’imputato avrebbe pianificato tutto. Una notte trascorsa insonne. Il giorno successivo l’uomo avrebbe dovuto lasciare il tetto coniugale. L’ennesima crisi tra la coppia che Capone avrebbe voluto ricucire. Questa volta però la moglie sembrava determinata a porre fine a quella storia tormentata. Alle sette di quel tragico mattino, quando suona la sveglia, l’ex sergente dell’aeronautica sveglia la moglie con un bacio. Per l’accusa quella tenerezza è solo l’estremo tentativo per capire se la donna era intenzionata a tornare sui suoi passi. Alla reazione di Maria Rita Russo sarebbe stata affidata, quindi, la decisione di portare a compimento o meno i propositi maturati durante la notte.

Il rifiuto della 31enne avrebbe scatenato la violenza omicida. Una violenza efferata per le modalità d’esecuzione. Per l’accusa l’imputato non solo voleva uccidere la moglie, ma voleva anche vederla soffrire. Per questo prima la cosparge con l’alcol e appicca le fiamme. Subito dopo scende in garage e preleva una tanica di benzina per incendiare l’appartamento. Per il procuratore generale non avrebbe alcuna importanza se il liquido infiammabile fosse stato acquistato per quel proposito. Capone avrebbe comunque progettato l’omicidio sapendo di poter disporre in casa dell’alcol e della benzina.

Al termine della requisitoria il procuratore generale Concetta Maria Ledda, pur chiedendo una sentenza di non luogo a procedere per il tentato omicidio dei due figli minori, ha confermato la richiesta di condanna a 30 anni per Salvatore Capone.

Il 25 febbraio la parola passerà alle parti civili. Discuteranno i legali Goffredo D’Antona, che assiste i figli minorenni, e Giovanni Grasso, Vincenzo Mellia, Piefrancesco Continella e Nino Garozzo, per la famiglia Russo.

 

 

 


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