L’unica paradossale e fantastica notizia del risveglio a Palermo, città sonnambula, si specchia nello sguardo di una bambina quasi centenaria che, dopo un lungo periodo di immobilità, ha aperto le sue pupille pietrificate nel buio di una cripta, secondo gossip e credulità popolare. Rosalia Lombardo, celebre mummia, vanto dell’ossario dei Cappuccini, è finita suo malgrado sui giornali, nella diceria dell’oltretomba, per uno scatto che la ritrae con gli occhi socchiusi, in posa da viva e, appunto, da sveglia. Fenomeno surreale, impregnato di mistero solo letterario, essendo Rosalia morta e conservata sugli scaffali del tempo, da quando il destino la rapì che era piccola e suo padre col cuore spezzato la affidò alle cure di un noto imbalsamatore, affinché la morte somigliasse alla vita.
Povera Rosalia, passata nell’istante di un respiro alla giovinezza immutabile, all’eternità di ciò che non può crescere più.
Poveri noi che abbiamo provato un sussulto, una scossa elettrica, mediati da coriaceo stupore difensivo, nell’apprendere che la bambina dei Cappuccini si era risvegliata. Un segno del cielo pareva. Un modo per dire: alzati, Palermo, non dormire più.
La storia si è spenta come una fiammella. E’ rimasta soffocata nei fondali dell’anima irrazionale. Era, ovviamente, un’illusione ottica. Una metafora inutilizzabile. Siamo ripiombati nel sonnambulismo, nel vizio che scambiamo per virtù, nel nostro consueto dormire a occhi spalancati, nel sonno dinamico che ci consente di scavalcare macerie e corpi, mettendo a tacere i conati dell’indignazione. E’ la sopravvivenza al minimo sindacale garantita ai palermitani: dormire, per non vedere. Non guardare, per non soffrire. Procedere con gli occhi serrati, per non immaginare di meglio. Non hanno luce i nostri occhi, né la cercano. Sono puntini neri dipinti sulla corteccia di burattini che siamo diventati, noi, imbalsamati, disperati e soddisfatti. Palermitani, morti e contenti. In piena (in)coscienza. E non c’è contraddizione.
La morte civile della città sonnambula non è un modo di dire, è uno stato di catatonia individuale e generale. Chiunque, in qualunque parte del mondo segnata a dito sulla cartina geografica, aprirebbe gli occhi per cominciare un percorso di rinnovamento, per demolire il brutto, sottraendosi all’alibi della lamentazione, proprio perché il brutto non ci dà più scampo, invade le case, dai marciapiedi. Né è più sufficiente lo scudo dell’insigne intellettuale che proclamò: “Io non sto a Palermo. Io sto a casa mia”. Non siamo fatti per la fatica, per i mattoni sollevati a spalla, per la luminosità di una cittadinanza rinascimentale. Ci vuole un condottiero-capro espiatorio a cui affidarsi, sapendo che per fortuna fallirà, uno che regali perline colorate, mentre si prepara il gran finale in cui sta scritto che siamo immutabili. A sipario chiuso, si leverà un ronf ronf di sollievo, dalla platea di dormienti. Conviviamo con l’orrore e con la felicità del disastro. Il sonnambulismo è una disgrazia, ma è pure l’antidoto contro pericolosi sintomi di una vivacità che ci obblighi a fare i conti nel modo giusto. Hai visto mai che si cambi rotta sul serio, che secoli di autocannibalismo siano sostituiti dalla misura di una buona amministrazione, in grado di pensare rivoluzioni sensate, non rivolte senza capo né coda?
La politica cittadina è funzionale alla proclamazione del naufragio, a confermare Palermo come luogo della decadenza: è questa la sicurezza che pretendiamo, nello spazio del cuore nascosto, sotto il cuore di superficie che mente a se stesso, lì, nel posto della vergogna. Dove non c’è una città, non ci sono cittadini, né doveri, né obblighi. Non ci sono neanche i diritti. Ci sono i furbi che si giustificano con lo stato di necessità. E’ una categoria generosa, quella dei furbi. Si accettano le iscrizioni di tutti, soprattutto degli ex duri e puri.
Da condottiero a condottiero, da fante a fante, da sottogoverno a sottogoverno, Palermo non cambia. Si compiace della sua sporcizia, del suo caos, della sua degradazione. Possono cambiare parole, promesse e trucchi. Può cambiare l’abilità del prestigiatore pro tempore sulla scena. Ma Palermo non cambia. E’ una catacomba gigantesca, senza un filo d’aria. I morti viventi che la abitano non hanno l’istinto di socchiudere mezza palpebra. I cammini si confondono nelle ripetizioni, nell’eco di altri cammini egualmente destinati alla sconfitta e alla sua rassegnata accettazione. La reiterazione obbligata della speranza ha il pallore di un trapasso. Il suono di sottofondo che invita alla lotta, alla battaglia per la legalità, alla sacra crociata, appartiene alla ruggine di un registratore rotto. Non è soltanto la politica, l’inutile e retorica politica, la mano che stringe il cappio.
La favola di una palingenesi impossibile si celebra perché garantita dall’indifferenza delle orecchie che ascoltano la musica, noncuranti del senso. La puntura di spillo della coscienza dura un attimo. Prestiamo fede alle bugie, ai santissimi salvatori, ai ciarlatani, ai miracoli subito smentiti, alla piccola Rosalia, alla suora che – altro gossip dell’oltretomba – appare al Capo, non si sa se per impartire benedizioni o anatemi dall’alto di un campanile. Perfino la Grande Rosalia, nel senso della Santuzza, ha abdicato e non ci protegge più dalla peste.
La morte civile, compiuta, di Palermo è narrata dalla cronaca abitudinaria, dalle intercettazioni delle operazioni che conducono in galera file chilometriche di mafiosi, con un’abbondanza da fare invidia al prefetto Mori. Eppure, neanche la decimazione del mafioso antropologico provoca l’ingresso di aria fresca nella cripta. Per uno scarafaggio schiacciato ce ne sono altri dieci, partoriti dal fango e dall’immondizia.
Il sonnambulismo è spiegato benissimo dal contesto omertoso dell’omicidio di Daniele Discrede, il commerciante assassinato davanti alla sua bambina. Sangue ingoiato e digerito. Non un comitato spontaneo, non un cenno di rabbia, non un moto cittadino di protesta e di richiesta di verità. Un corteo con la gente del quartiere, poi basta. La morte violenta, corollario della morte civile, torna a rivestire panni privati. Un affare della famiglia, di quelli presi in mezzo, degli amici e dei conoscenti. Ci pensino loro a percorrere la strada oscura nella cripta verso un filo di spiegazione, nell’intreccio dei perché. Non avranno nessuno accanto, stati di Facebook esclusi. Non ci sarà alcun piede in transito, accanto ai piedi delle vittime ingiustamente offese in viaggio verso l’ignoto.
Ma non c’è bisogno di citare episodi eclatanti. Questa città cade a pezzi, per quanto si volga lo sguardo altrove. E’ defunta nella sua quotidianità. Sporca. Priva di servizi elementari. Intasata. Spogliata del più flebile anelito di riscatto. Preda di personaggi che dettano legge nei vicoli, corroborati da protervia e arroganza, senza che alcuno osi frapporsi tra la violenza e il raggiungimento di un risultato abusivo. Gli esempi di scuola abbondano. Provate a gironzolare con la macchina, un martedì a caso, in viale Francia, zona di palazzoni borghesi. Provateci e scoprirete che non si può passare. C’è il mercatino a invadere la carreggiata. I residenti non escono. I forestieri non entrano. E ci sono i vigili. E c’è un assessore. E c’è un sindaco. E c’è la legalità. Viale Francia, nei suoi martedì, subisce un provvedimento di custodia cautelare. Lo stesso accade nei mercoledì di viale Campania, nei giorni qualsiasi di una capitale rubata a se stessa. In ogni paesello italiano scoppierebbe un’insurrezione, per sottrazione di suolo pubblico. Da noi no. Accettiamo il fa(t)to. Chiniamo la testa. Siamo sonnambuli. Dormiamo. Palermo sonnecchia in custodia cautelare, con le manette ai polsi, tra i negozi con le saracinesche calate e un plumbeo annuncio di tracollo.
E che raccontare di nuovo di Mondello, simbolo dei simboli, al culmine della stagione estiva? La cittadella che costeggia il mare sarebbe un forziere di bellezza, dappertutto, non qui. La martoriata Mondello è assediata dall’incuria, dalla munnizza. Il mare si conserva intatto, con una magia che non sappiamo amare abbastanza, fino ai primi giorni di luglio e per tutto settembre. Nel resto della stagione assume una tonalità inquietante, un colorito ambiguo, da sedimentazione delle urine. Vengono convocati esperti al capezzale dell’acqua marcia. Variabilmente sentenziano, ma ciò ha poca importanza. E’ invece importante che il palermitano si senta rassicurato nel suo calvario estivo, che ricominci a tuffarsi, senza il disagio di onde stranamente pulite. E’ importante che le spiagge, ridotte a campo di sterminio della bellezza, diano il consueto colpo d’occhio desolante. E’ importante sapere di essere a casa, a Palermo, la città sporca e invivibile, dove basta dormire o vagare da sonnambuli per adattarsi. Il sonnambulismo è l’arte che si impara per campare, guai a metterla da parte.
Nel frattempo, i condottieri pro tempore sperimentano. Chiudono pezzi di viabilità in odio alle cavie della macchina, millantando l’esistenza di invisibili mezzi comunali a disposizione. Chiudono il parco della Favorita, infliggendo agli automobilisti una pena aggiuntiva, per garantire una corsia pedonale popolata da cani, zecche e radi ciclisti. Tutto viene contrabbandato come una svolta epocale, una gemma di educazione, un diadema di civiltà. E’ proprio quello che ci voleva: infedele panormosauro sei, se non lo capisci da te. La neo-lingua della finzione tramite comunicato autorizza ogni paradosso. L’ordalia termina con un gioioso comunicatone finale in cui appunto si comunica che – certo, ma chi l’avrebbe mai pensato – c’è stata qualche criticità. Dunque si rimanda la soluzione del problema, scontentando i ciclomani che avevano fatto la bocca alla Favorita sgombra e i volantomani che non hanno mai capito l’origine di tale, gratuita sofferenza. Era un esperimento, siatene orgogliosi. In calce al comunicato non c’è traccia di un sommesso “scusate”. Gli esperimenti costano. E, modestamente, non latitano, a condizione che siano almeno sufficientemente inutili, se non proprio meravigliosamente dannosi.
In calce alla devastazione, nel cuore nascosto della cripta di Palermo, nessuno apre gli occhi. Nessuno ha uno sguardo che non sia sonnambulo. Nessuno si affaccia oltre le grate della prigione per respirare un po’. Dormi tranquilla il sonno dei bambini per sempre. Dormi e non svegliarti, piccola Rosalia.