"La mafia e il business del caffè" | In tredici sotto processo - Live Sicilia

“La mafia e il business del caffè” | In tredici sotto processo

L'inchiesta del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, nel 2012, avrebbe fatto emergere che dietro la società Caffè Floriò vi sarebbe Francesco Paolo Maniscalco, già condannato per associazione mafiosa.

PALERMO – Il mafioso si sarebbe lanciato nel business del caffè. Francesco Paolo Maniscalco, condannato per mafia con sentenza definitiva e considerato vicino a Totò Riina, attraverso tre società avrebbe imposto le forniture della miscela per l’espresso venduto in diversi bar della città.

L’ipotesi accusatoria regge al vaglio del giudice per l’udienza preliminare Lorenzo Matassa. Undici persone sono state rinviate a giudizio. Due hanno scelto l’abbreviato: oltre a Maniscalco, anche Francesco Paolo Davì.

Sulla base delle indagini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, coordinate dal pubblico ministero Dario Scaletta, Maniscalco avrebbe controllato la società Caffè Floriò di Zaccheroni Maria sas, con sede legale in via Paolo Emiliani Giudici, il 50 per cento della Cieffe Cialde e della Cieffe Group di via Ugo La Malfa, due bar e anche una palestra.

Per evitare che sui beni si abbattesse la scure del sequestro, Maniscalco avrebbe creato una rete di prestanome di cui farebbero parte Daniela Bronzetti, Antonino Prester, Francesco Paolo Davì, Giovanna Citarella, Teresa Maria Di Noto, Giuseppe La Mattina, Antonella Cirino, Paola Carbone, Salvatore Dolcemascolo e Laura Seminara. Gli ultimi due sarebbero stati i gestori fittizi di una palestra che nel frattempo ha cambiato proprietà, così come i due bar che sono transitati sotto una nuova gestione. L’accusa, respinta dagli imputati, è di “trasferimento fraudolento di valori”.

C’è un tredicesimo rinviato a giudizio. Si tratta di Giuseppe Calvaruso che assieme a Maniscalco risponderà in Tribunale dell’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Con frasi del tipo “te lo devi prendere il caffè” avrebbero imposto la fornitura in alcuni bar nonostante “fosse di qualità inferiore” rispetto a quello già utilizzato.



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