PALERMO – Silvana Saguto dovrà affrontare un nuovo processo. Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Caltanissetta Santi Bologna ha disposto l’imputazione coatta per l’ex magistrato che si trova in carcere, a Rebibbia, per scontare una condanna definitiva. I pubblici ministeri di Caltanissetta avevano chiesto per due volte l’archiviazione.
Falso sì, corruzione no
L’accusa è falso in atto pubblico: un maxi sequestro non fu deciso in una camera di consiglio collegiale ma dalla sola Saguto. L’accusa poteva essere molto più pesante, ma il gip ha deciso di archiviare l’ipotesi di corruzione. Secondo la difesa dell’ex magistrato, il falso è già stato giudicato nel processo principale.
Il processo nasce dal sequestro del patrimonio degli imprenditori Virga di Marineo, deciso dalla sezione Misure di prevenzione di Palermo allora presieduta da Saguto. Il patrimonio era stato stimato in 1,6 miliardi di euro fra impianti di calcestruzzo, imprese edili, aziende agricole, produzione di gas terapeutici ed industriali, ristorazione, immobili. Un valore che lo rendeva il più alto fra i sequestri eseguiti nella storia della misure di prevenzione in Italia, ma sempre smentito dai Virga, secondo cui non si andava oltre i 25 milioni di euro.
La storia dei Virga
Alcuni pentiti, tra cui Nino Giuffrè a Giovanni Brusca, dissero di avere saputo da Ciccio Pastoia, boss di Belmonte Mezzagno, e Bernardo Provenzano che uno dei fratelli Virga, Carmelo, aveva goduto dell’appoggio della mafia. Sospetti, nulla di più, sempre respinti da Virga e, comunque, risalenti nel tempo. Non erano utili per un processo penale, ma bastarono per la misura di prevenzione e il sequestro che riguardava anche i fratelli Vincenzo, Francesco, Anna e Rosa Virga. I beni, quando Saguto non era più presidente, furono tutti restituiti ad eccezione di alcuni immobili e partecipazioni societarie di Carmelo Virga andate in confisca.
Nel 2013 i Virga erano stati considerati meritevoli di ottenere un beneficio dallo Stato per avere denunciato e fatto condannare gli uomini del racket. Chiesero e ottennero il congelamento, per un anno, dei debiti nei confronti dell’erario e un milione e mezzo di euro da prelevare dal fondo nazionale per le vittime del racket. Poi arrivò il sequestro a bloccare tutto.
Saguto, così emergeva dalle intercettazioni, avrebbe iniziato a esaminare la corposa documentazione fatta di migliaia di pagine una manciata di giorni prima che venisse firmato il decreto di sequestro. Troppo poco per avere un quadro completo. “Non ho avuto il tempo di guardarlo, ora parto per una trasferta quando torno, cioè domenica torno, da lunedì comincio a guardarmi le carte”, diceva Saguto.
La denuncia
I Virga denunciarono il magistrato, oggi detenuta a Rebibbia, ritenendo che il sequestro – per il quale non c’erano i presupposti – facesse parte del patto corruttivo, che fosse stato deciso soltanto per poter distribuire incarichi. Sul punto il giudice per le indagini preliminari ha disposto l’archiviazione ritenendo che il caso rientri nella corruzione che ha già portato alla condanna di Saguto nel processo principale.
Diversa la valutazione sul falso: “Non vi è dubbio che un provvedimento giudiziario dalla portata cosi dirompente (tanto sul piano giudiziario quanto su quello extragiudiziario) come quello adottato nei confronti dei Virga (oltre un miliardo di euro secondo l’originaria stima), avrebbe imposto lo svolgimento di una camera consiglio tutt’altro che snella e informale, ma piuttosto approfondita e partecipata”. Ed invece della camera di consiglio collegiale non c’è traccia. L’udienza preliminare è fissata il 18 aprile. I Virga sono costituiti parte civile con l’assistenza dell’avvocato Luca Inzerillo.