Se permettete parliamo di ‘culo’. E di ‘corna’. Con un sorriso a fior di labbra.
Il culo dei grillini – nel senso della fortuna in forma di metafora – che hanno raccolto la migliore delle sconfitte possibili. Non avranno il compito arduo di governare. Non si misureranno con le cose ché, quando è accaduto – da Roma a Torino, passando per Bagheria – hanno inscenato fallimenti, denotando una incapacità del fare che nessuno stratagemma del dire può nascondere. E potranno concentrarsi su ciò che gli riesce meglio: la vacua e polverosa retorica della rabbia. Nello Musumeci avrà, da capoufficio, il disbrigo pratiche correnti e, soprattutto straordinarie, di una Sicilia svenata dall’ultima sciagura del crocettismo che alle più antiche catastrofi si aggiunse.
Giancarlo Cancelleri, invece, potrà fabbricarsi un comodo pulpito da cui lasciare partire i fulmini della sua collera. E risulterà magnifico nella rappresentazione plastica del Vaffanculo in servizio permanente effettivo che gli ha tributato un consenso poderoso, destinato a crescere nei prossimi mesi grazie a sopraggiunti Vaffanculo di complemento. Pure Giggino Di Maio ha compreso il punto: “Da qui si parte per il quaranta per cento a livello nazionale”.
Pensate che pacchia. E che fortuna, davvero, questi grillini. Baciati da una messe di voti – l’abbondanza dello sdegno giustificato di tanti presa all’amo della protesta – che non dovranno tradurre in responsabilità, assumendosi le inevitabili contraddizioni di chi si sporca le mani. Li metteranno a reddito e si appresteranno a una ricca stagione di insulti, moltiplicata per tutti i tweet che si potranno concepire.
E parliamo anche di corna, non abbandonando quel sorriso a fior di labbra.
La reazione dei pentastellati alla sconfitta ricorda quella viscerale e gastrica del tifoso di calcio. Se la squadra vince, tutto bene. Altrimenti è colpa dell’arbitro che, notoriamente, è quello che è, in termini di appendici posticce.
Rileggiamo i virgolettati. Cancelleri: “Non chiamerò il vincitore perché altrimenti avrei dovuto chiamare tutti quelli che hanno vinto nelle liste che lo hanno sostenuto. Questa è una vittoria contaminata dagli impresentabili e dalla complicità dei media nazionali”. Giggino Di Maio: “Noi dobbiamo essere orgogliosi. Loro vincono? Fantastico, va bene, ma è una vittoria infangata dagli impresentabili”. Infine, Beppe Grillo, con l’abituale grazia: “Un’accozzaglia di personaggi incredibili ha tessuto una tela fitta ma vecchia, come nelle case scure dove si ambientano gli horror”.
Ora, a prescindere dalle sottolineature necessarie su certe opacità del voto – ma chi può affermare che siano sempre a senso unico? – colpisce la meccanicità dell’analisi che nasce nella strategia del risentimento da Vaffanculo, mai da governo. Un riflesso condizionato a prescindere dal contesto. Infatti, quel presunto assessore designato – di cui non ricordiamo il cognome, tanto era poco rilevante – quello dall’incendio facile sui social, non fu un incidente della storia; condensava l’eterno Vaffanculismo che non la spunta, il senso del grillismo nella sua più intima veridicità.
Noi siamo il voto bello, libero e pulito, arringano gli sconfitti. Gli altri sono collusi, impresentabili e lerci. Noi siamo gli unti dell’onestah. Gli altri sono unti, bisunti e basta. Tutti figli, nipoti e biechi sodali di Genovese, come se questa fosse l’unica spiegazione possibile.
Ecco la democrazia ridotta a pantano calcistico da bar dello sport. Se vinciamo, è meravigliosa. Altrimenti, si sa, ha le corna.