Il carcinoma mammario, la prima causa di morte in Italia con circa 12.300 decessi, è un tumore molto diffuso, ancora oggi quello più frequentemente diagnosticato in tutte le fasce di età, con un aumento di incidenza ogni anno del 3%.
Sull’argomento si sono confrontati i maggiori esperti nazionali ed internazionali nel campo dell’oncologia mammaria e delle Breast Unit, in occasione di Catania 4 Senology, il convegno organizzato da Humanitas Istituto Clinico Catanese sotto la regia dei Responsabili scientifici Carlo Carnaghi, Francesco Caruso, Michele Caruso, Isabella Castellano, Gaetano Castiglione, Luigi Cataliotti e Antonio Rizzo, che ha visto la partecipazione del Gruppo italiano di studio di patologia mammaria (GIPaM), dei referenti regionali Senonetworkinsieme ai centri di senologia, dell’Associazione Nazionale Italiana Senologi Chirurghi (ANISC) e di numerosi specialisti in oncologia medica.
Una tre giorni in presenza per fare il punto sul carcinoma mammario e sull’importanza dell’approccio multidisciplinare nelle fasi della malattia, dalla diagnosi alla fase chirurgica a quella post operatoria. Nonché sugli approcci e le tecniche innovative che hanno rivoluzionato il trattamento medico della malattia, fino alla rete di esperti chirurghi e alla connessione tra professionisti e pazienti, elementi fondamentali per affrontare in termini globali la patologia.
“L’oncologia è il momento della pluridisciplinarità – commenta il dott. Francesco Caruso, Capo Dipartimento oncologico e Responsabile U.O. di Chirurgia oncologica dell’Istituto – in cui più specialisti si confrontano per definire la diagnosi ed il successivo trattamento della patologia oncologica da affrontare. La nascita della Breast Unit, il centro di senologia, avvenuto circa vent’anni fa – prosegue – ha rappresentato la sintesi in termini di risposte per la paziente: la migliore struttura in cui affrontare a tutto tondo il tumore al seno grazie alla compresenza di più specialisti che lavorano per lei, la circondano di cure, effettuando una presa in carico della persona nella sua complessità, oltre che del suo problema”.
L’importanza, dunque, della multidisciplinarità non solo per affinare la diagnosi e stabilire la migliore terapia, ma a vantaggio della paziente sotto tutti i punti di vista. “Uno dei classici momenti è il meeting multidisciplinare (MDM) – spiega il dott. Caruso – in cui tutti gli specialisti coinvolti si confrontano per discutere il singolo caso”. Durante i meeting, i casi vengono discussi, viene presa una decisione che può essere di tipo medico, chirurgico o diagnostico a cui segue il trattamento. “Le pazienti si sentono più coccolate – conclude il Capo Dipartimento. Le donne oggi hanno ben compreso che il tumore della mammella deve essere trattato soltanto all’interno di strutture dotate di determinati requisiti e, di conseguenza, in grado di affrontare la malattia nella sua interezza”.
L’evento, il primo organizzato da Humanitas Istituto Clinico Catanese nel post pandemia, ha messo l’accento, dunque, sull’importanza del lavoro di squadra nell’approccio e nel trattamento del carcinoma mammario, come evidenzia il dott. Carlo Carnaghi, responsabile dell’U.O. di Oncologia medica dell’ospedale etneo. “I nuovi casi in Italia ogni anno sono circa 55 mila – afferma. Ma non è tanto questo importante: il concetto è che il tumore della mammella è una patologia estremamente comune, nella quale gli avanzamenti in ambito scientifico sono costanti e di straordinaria importanza, con dei riflessi fondamentali sulle prospettive di vita per le pazienti che si ammalano”. Pone l’accento sui passi in avanti compiuti: “Le importanti novità degli ultimi anni devono trovare un risvolto nella pratica clinica e, perché ciò accada, occorre avere una piena consapevolezza del contesto, inteso quale conoscenza approfondita della malattia”.
Risuona forte il messaggio della medicina personalizzata che trova la sua ragion d’essere nella coralità dei contributi degli specialisti: “L’obiettivo di questo evento – afferma Carnaghi – non è solo aggiornare le conoscenze e confrontarci tra esperti, ma anche rafforzare le competenze tra discipline diverse: oncologia, anatomia patologica e chirurgia. Nell’epoca globale in cui viviamo, personalizzare la cura non significa avere la possibilità di prevedere con certezza quello che succederà in ogni singolo caso, ma poter identificare meglio i confini di ogni singola malattia e declinare con maggiore precisione il trattamento per ogni paziente”.
La strada è ancora lunga e la prevenzione, in questo senso, gioca un ruolo determinante. Lo dice apertamente il dott. Antonio Rizzo, Responsabile del servizio di Anatomia patologica in Humanitas, a Catania. “Gli screening in Europa e in Italia rientrano tra i Livelli essenziali di assistenza (LEA) e sono parametri su cui vengono valutati i direttori generali e gli assessorati. Insomma, la prevenzione è un fatto istituzionalmente importante. Purtroppo, il territorio italiano risente di ottimi livelli di risposta nelle regioni del nord mentre il sud fa fatica. E’ necessario quindi puntare sulla qualità delle istituzioni sanitarie e lavorare tutti insieme per trasferire fiducia nella popolazione verso una sanità di qualità”.
Nello specifico, per quel che riguarda il tumore alla mammella, lo screening tradizionale è la mammografia, oggi non più sufficiente da sola a individuare tutte le lesioni né a coprire la fascia d’età sotto i 45 anni che, a volte, presenta neoplasie molto aggressive.
All’esame diagnostico deve quindi seguire una valutazione specifica del paziente: solo così sarà possibile fare prevenzione anche nelle fasce di età per le quali lo screening non è previsto”.
L’approccio multidisciplinare sarebbe impossibile senza una rete, un collegamento tra esperti. In questo senso, di fondamentale importanza come raccordo tra professionisti e istituzioni è Senonetwork, il network dei centri italiani di senologia, associazione no profit che promuove il trattamento della patologia della mammella in Italia all’interno di centri dedicati aderenti ai requisiti richiesti dal Ministero della Salute per garantire a tutte le donne la stessa opportunità di cura ovunque esse si trovino. Ad oggi, fanno parte del network 146 centri distribuiti sul territorio nazionale.
“L’approccio multidisciplinare è alla base della buona cura in qualsiasi settore. Non esiste un’organizzazione che non preveda una collaborazione tra esperti all’interno di diverse professioni, ancora di più in ambito oncologico – sottolinea il Prof. Luigi Cataliotti, Presidente Senonetwork Italia Onlus. Quando ho iniziato, tanti anni fa, il chirurgo aveva in mano la situazione, perché la paziente si affidava allo specialista per l’intervento. Oggi, assistiamo ad una inversione: la paziente dialoga col chirurgo, si informa maggiormente e si tende a coinvolgerla nelle decisioni da prendere”.
Il Prof. Cataliotti si sofferma, infine, sull’approccio empatico necessario non solo con le pazienti, ma anche tra colleghi: “Il concetto di rete, per funzionare bene, deve godere della stima reciproca tra colleghi. Questo è basilare”.
Come lo è la collaborazione attiva tra medici e pazienti, altra alleanza strategica per migliorare non solo gli approcci diagnostici e terapeutici, ma anche i processi legislativi. Testimone eccellente, in questo senso, è Rosanna D’Antona, Presidente Europa Donna Italia, ex paziente del Prof. Umberto Veronesi, che da oltre dieci anni guida l’associazione ponte tra pazienti e decision maker.
“Credo moltissimo nella capacità delle donne di aggregarsi e di portare avanti idee e innovazioni – dice in premessa. Io sono una ex paziente, ho avuto un tumore 27 anni fa e quando il Prof. Veronesi mi ha dato questo incarico, ho capito due cose importantissime. La prima è che ci sono 21 sanità italiane. Ogni regione ha i suoi protocolli e i suoi percorsi, quindi bisognava parlare la lingua della singola regione per portare avanti le istanze delle pazienti donne. L’altra, è che bisogna essere sufficientemente rappresentativi per poter esprimere le esigenze delle donne e interagire con i decisori, che necessitano di conoscenze per effettuare le scelte non solo migliori ma più efficaci.
“La presenza di donne portavoce dei bisogni delle pazienti sul territorio è essenziale per comunicare le loro reali necessità a chi decide e questo peraltro facilita il lavoro delle istituzioni: noi siamo donne portatrici di conoscenze che mettiamo a disposizione per agevolare chi è chiamato a prendere le decisioni che hanno ricadute sulle stesse donne”. Insomma, la rete delle pazienti come pezzo importante dell’ingranaggio istituzionale che agevola il sistema nazionale. “La mia presenza qui vuole evidenziare proprio questo aspetto – conclude D’Antona: raccontare a tutti i professionisti quanto sia importante e determinante l’alleanza tra le associazioni pazienti e i medici”.