PALERMO – Gestiva le pratiche di risarcimento dei falsi incidenti, ma all’occorrenza, era pronto a rompere le ossa. Giovanni Napoli, 44 anni, è considerato uno dei tre capi della pericolosa organizzazione che truffava le assicurazioni a Palermo. Con lui, sarebbero stati al vertice Antonino Di Gregorio, 44 anni e Domenico Schillaci, titolare di un bar in via Brunelleschi, finito sotto sequestro insieme ad altre due aziende, per un totale di mezzo milione di euro.
I membri dell’associazione smantellata oggi dalla squadra mobile e dalla guardia di finanza, avevano ruolo ben definito: ad ognuno di loro i “capi” avevano affidato un incarico preciso, in base anche alle zone di competenza: la città era stata suddivisa in tre grandi aree. Alla base c’erano gli associati incaricati di individuare le potenziali “vittime” dei falsi sinistri: come già venuto a galla lo scorso agosto, durante la prima fase dell’inchiesta, venivano rintracciate in contesti cittadini caratterizzati da degrado e povertà.
A loro, inizialmente, venivano promesse significative quote dei risarcimenti delle assicurazioni, successivamente non corrisposte, oppure pagate solo in parte. Un giro d’affari di circa due milioni di euro all’anno che avrebbe coinvolto almeno trecento persone che avevano accettato di farsi spaccare le ossa nelle “camere dell’orrore”. Alcune si sarebbero sottoposte alle torture per più di una volta. Tra queste, però, sono state cinquanta a contribuire alla seconda tranche dell’inchiesta: hanno accettato di collaborare con gli inquirenti, svelando ulteriori ed inquietanti retroscena in base ai quali è stato possibile delineare la struttura verticistica dell’organizzazione.
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In quest’ultima, infatti, c’erano anche i “finanziatori”, ovvero coloro che anticipavano le somme e acquistavano le pratiche da rivendere poi a prezzo maggiorato. Tra questi, anche chi si occupava poi della suddivisione tra i complici, dei risarcimenti. Si tratta di Carlo e Gaetano Alicata, padre e figlio, Filippo Anceschi, Salvatore Arena detto “Mandalà”, Salvatore Di Liberto, Vittorio Filippone, i fratelli Alessandro e Natale Santoro, Alfredo Santoro detto “Lello”, Piero Orlando detto “Sh”, Vincenzo Peduzzo, Gioacchino Campora detto “Ivan”, e Giovanna Lentini. provvedevano all’eventuale “cessione” a terzi delle pratiche assicurative relative alle truffe. Ma il business dell’orrore si basava soprattutto sui picchiatori, gli “specializzati” nella rottura delle ossa e nelle menomazioni.
Tra questi gli inquirenti hanno individuato Giuseppe Di Maio detto “fasulina”, Antonino Giglio detto “Tony u’ pacchiune”, Gesuè Giglio, Cristian Pasca. Ed ogni incidente, prima di essere inscenato, doveva essere ben studiato. Oltre alla scelta della vittima, quindi, venivano stabiliti il luogo in cui il sinistro sarebbe avvenuto e i mezzi da coinvolgere. Chi si occupava di questa fase reperiva i veicoli da utilizzare, reclutava i conducenti e gli eventuali testimoni, ma si occupava anche dell’assistenza medica di chi finiva in ospedale. Tra questi ci sarebbero Vincenzo Cataldo, Monia Camarda, Orazio Falliti, Gaetano Girgenti, Alfonso Macaluso, Benedetto Mattina, Giuseppe Mazzanares, Maria Mazzanares, Rita Mazzanares, Salvatore Mazzanares, Giuseppa Rosciglione, Mario Modica, Antonino Saviano, le sorelle Maria e Letizia Silvestri. L’avvocato Graziano D’Agostino avrebbe invece lavorato le pratiche risarcitorie da produrre alle compagnie assicurative, sulle quali sarebbe intervenuto anche il perito assicurativo Mario Fenech.