Cari vigili, quanto è difficile | lavorare a Palermo - Live Sicilia

Cari vigili, quanto è difficile | lavorare a Palermo

Non li sopportiamo, perché compiono il loro dovere. Invece sarebbe il caso di ringraziarli, i vigili urbani di Palermo. Con una lettera.

Caro Signor Vigile Urbano di Palermo,

Questa è una lettera che, forse, riguarda molti che vorrebbero inviarla, anche se in incognito per abitudinaria privacy dell’omertà. Ed è scritta per dire semplicemente: grazie. Grazie per il il suovostro lavoro: non è semplice, nella capitale mondiale dello spregio delle regole. Grazie – al netto degli sbruffoni, di quelli che indossano l’uniforme come la stella e la colt dello sceriffo – perché riusciamo ancora a respirare un po’. Grazie soprattutto nel sopportare di essere così ingiustamente odiati per la colpa massima che qui non si perdona: l’ossessione di compiere il proprio dovere nell’applicazione delle regole. Grazie, nonostante certe pose alla Clint Eastwood e certa pignoleria da azzeccagarbugli, perché senza i vigili urbani questa nostra Palermo, da fogna che è, diventerebbe irresistibilmente invivibile.

L’altra sera in via Cavour c’era il mitologico ‘Ciaffico’ nella sua evidenza esplosiva. Era così ‘tentacolare’ che perfino lo zio di Johnny Stecchino si sarebbe suicidato, sentendosi scavalcato, per distacco, dalla realtà. Macchine su macchine di palermitani bestemmianti. E un vigile, tapino e sconsolato, all’incrocio che cercava di raccogliere con il suo piccolo fischietto-secchiello il grande mare del caos. A un certo punto, sbuca un cane, un bastardino dal pelo arruffato, che sta per attraversare col rosso, precipitandosi nel ventre delle auto ribollenti. Il vigile lo ferma con una mano. Il canuzzo si blocca e lo guarda. Scatta il verde. Il vigile gli dice: “Ora puoi passare e stai attento”. Il canuzzo scodinzola e riprende il cammino. Osservavo la scena con una briciola di tenerezza, poi pensavo che forse noi palermitani avremmo molto da imparare in senso civico da quel canuzzo e chissà se è proprio così.

Abbiamo anche le nostre ragioni, le scuse per essere così palermitani e irrimediabili, annegati in tanto barbarico torto, però non basta. Siamo prigionieri del ‘ciaffico’, di scelte urbanisticamente incomprensibili. Siamo vittime di una visione di governo che non ha mai capito come funziona la viabilità in una comunità complessa. Sembrano talmente presi, coloro che decidono, dal sogno vacuo di un’Arcadia celeste, con gli spostamenti a dorso di mulo, che proprio non riescono a immaginare percorsi contemporanei. Sono tutte corpose attenuanti, non si può negare. Tuttavia le suddette corpose attenuanti non conducono all’assoluzione. A prescindere dalla centrale di comando pro tempore, la maggioranza dei cittadini di Palermo è incivile, insopportabile e maleducata. Lo è perché applica da sempre un principio costituzionale fisso: prima vengo io e degli altri chi se ne frega…. Nella tenaglia – tra chi escogita sempre nuovi e dannosi stratagemmi al calduccio della sua auto blu e chi attraversa quotidianamente le strade, attrezzato come un orco, per sopravvivere – ci sono, appunto, i vigili urbani che tengono a bada un minimo di senso comune, nel tripudio del nonsenso.

A Palermo trafficatissima, i palermitani questo fanno. Posteggiano sulle strisce pedonali e sugli scivoli per disabili. Piazzano il cocchio in seconda fila e se tu gentilmente li sfiori con uno sguardo di rimprovero ché magari dovresti uscire, vieni ri-guardato con un’occhiata di sfida e la frase di prammatica: manco il caffè uno si può prendere (di solito sono caffè lunghissimi, dai quaranta minuti alle tre ore piene)? I palermitani double face sgommano in ogni angolino disponibile, mettendo a repentaglio ciclisti e pedoni. Svuotano il portacenere fuori dal finestrino con soddisfazione di cicche e gomme da masticare. Gli stessi, un minuto dopo, si lamentano quando, tutto intorno, colgono solo sporcizia, barbarie, violenza. E se scorgono un casco bianco ciondolante all’orizzonte, lo maledicono, più per quello che rappresenta che per quello che fa. Perché è lì per sottolineare, col suo rollio insistito, la distanza tra quello che siamo e quello che diciamo di essere, la differenza tra la teoria delle buone regole e la prassi dello schifo. Odiamo i vigili urbani perché sono lo specchio della nostra ipocrisia di vittime che, un minuto prima, indossavano ancora il cappuccio del boia.
Ma non è mai lo specchio a determinare la bruttezza dell’immagine. E la verità – per quanto spiacevole – non può essere una colpa.

 


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