Battiato, non ti ascolto più | Erano solo canzonette - Live Sicilia

Battiato, non ti ascolto più | Erano solo canzonette

C'era una volta Franco Battiato, il grande musicista che ha tratto la bellezza da note e parole. Poi è entrato in scena un nuovo personaggio. Che, con una sola apparizione, ha distrutto tutto. Ma proprio tutto.

Caro Maestro Franco Battiato,

Sono sicuro che la mia scelta la lascerà sovranamente indifferente ed è logico che sia così. Ma per un rapporto unilaterale di ammirazione da parte mia, è giusto che lo sappia, se mai lo saprà. Non ascolterò mai più nulla di suo. Conserverò i cd, i dischi, le audiocassette che ho a casa in un baule, chiuderò a doppia mandata e dimenticherò. Se un poeta come lei si esprime nel modo che tristemente abbiamo appreso, vuol dire che non è mai stato un poeta.

Non pensi di avere a che fare con un fanatico, con un talebano dell’estetica. Pretendo coerenza. Lei ci ha permesso di riscoprire armonie nascoste dentro di noi. Il mio primo ascolto, a quattordici anni? “L’animale”. Titolo brutale per una delle opere più belle della canzone italiana. E “Mal d’Africa”? Vogliamo tornarci? “Da una finestra di ringhiera, mio padre si pettinava. L’odore di brillantina si impossessava di me”. A casa mia c’era la ringhiera, c’era la brillantina. E c’era mio padre nell’atto di pettinarsi con quel profumo intenso a presiedere la scena. Preciso e soddisfatto dello specchio come un Marcello Mastroianni del lunedì mattina. E’ andata così, Maestro. La bellezza di ogni giorno, sentimento inconsapevole allora, è diventata memoria. Ma lei dov’era? Come faceva a sapere di quella finestra, di quella ringhiera, di quel padre che era il mio e forse anche il suo?

Lei, in tutta una vita d’artista, ha sperimentato il rigore della ricerca per risultati assoluti, univoci e senza compromessi. Da solo o con Manlio Sgalambro ha tratto la gentilezza dalla parola, incastonandola nelle note. Regalandoci la prospettiva di un mondo diverso, costruito sulla dolcezza e sull’umanità. Non era marketing da spettacolo, più propriamente una missione, un invito alla conversione, un irresistibile richiamo alla necessità di fare altro, di non avere paura delle altezze, dalla nostra bassezza.

Poi, Maestro, le danno un microfono assessoriale. Lei fa una faccia livida che mai avremmo immaginato. E sibila, calcando il timbro sulle consonanti: “Queste troie…”. Il resto è noto.

Dal mio punto di vista di ascoltatore – e si sa che gli ascoltatori sono pressanti, ci tengono alla corrispondenza tra forma e contenuti – non è una questione di educazione, né di bon ton, né di galateo istituzionale, elementi che pure contano. E’ piuttosto un tradimento. L’apostolo della bellezza non può trasformarsi nel qualunquista violento che offende e strepita e, a sopresa, coincide con la cacofonia del mondo che ha sempre combattuto. Non si tratta di diversificazione, di distanza fra cielo e terra. Anzi. Uno che viaggia nei cieli dovrebbe atterrare con grazia. Con durezza, certo, quando la situazione lo richiede. Tuttavia senza dimenticare da dove viene. E dove va. Senza dimenticare che la verità si afferma meglio, appunto, con la grazia che riferisce la sostanza, per quanto cruda.

Con una sola paroletta “troie”, Maestro Battiato, lei ha distrutto anni di impegno artistico che era anche politico e sociale. Ha rinnegato il suo metodo. Ha gettato alle ortiche la fisiognomica di una rivoluzione cortese, per sostituirla col forcone di un’epoca oscena. A che serve un poeta se non sa più indicare un cammino alternativo, se si uniforma alla bruttura, se parla il linguaggio della violenza? Della rivoluzione che crede di spuntarla con la violenza. E che non produrrà cambiamento, se non l’ulteriore violenza di una imminente restaurazione con vestiti lucidati.

Ecco perché io non la ascolterò più, Caro Maestro Battiato. In un giorno infelice ha buttato via anni preziosi. Davvero, erano solo canzonette.

 


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