“Sono un po’ deluso, ma anche molto determinato ad andare avanti, mi sono rimesso in gioco per spirito di servizio. Sono un medico, lavoro sul fronte caldo della pandemia. Sono stato a Lampedusa, in trincea. Ho avuto una stagione politica che ho vissuto con passione, come un sognatore. Ecco perché non capisco quello che sta succedendo”.
Il dottore Francesco Cascio, responsabile delle vaccinazioni per l’Asp, non è sconfortato, perché – dice – “l’ottimismo è la base del mio carattere”. Ma, in questo 26 aprile ancora caotico per i destini del candidato sindaco del centrodestra a Palermo, parla – da competitor forzista in ticket con la Lega e da palermitano – senza filtri, senza convenienze, come è nel suo carattere. E parla a cuore aperto, con quel modo diretto che è la sua specialità e che provoca tanto affetto quanto rancore. Non tutti amano la schiettezza.
“No, non facciamo una intervista classica – dice – mi lasci chiacchierare a ruota libera, da appassionato della mia città. Io sono un palermitano, ho visto cosa è diventata Palermo in questi ultimi anni. Ho riconosciuto a Leoluca Orlando un significato importante, sono una persona leale alla verità. Lui passerà alla storia. Ma il periodo più recente è stato catastrofico e dobbiamo rimboccarci le maniche, tutti, da palermitani che amano Palermo. Non mi interessa la polemica sul passato. Io non sono candidato contro nessuno e lei non mi sentirà mai usare toni meno che rispettosi, perché il rispetto è alla base delle mie convinzioni. Dico solo che, come centrodestra, stiamo perdendo un’occasione”.
E’ un Cascio ‘sbottonato’, lontano dallo smoking della cautela e delle cerimonie. Uno che, con il camice, ha messo le mani sul dolore dei migranti che arrivano a Lampedusa. “Non possiamo dare l’idea, come centrodestra, che Palermo sia secondaria – dice – che venga dopo la Regione. Rispetto moltissimo (ancora quella parola, ndr) il presidente Musumeci, con le sue ambizioni, ed è giusto, come ho detto mille volte, che si discuta senza preclusioni, serenamente. Però Palermo è Palermo, da qui dobbiamo partire per ricostruire. Palermo è la sfida più importante, vedo solo quella. A me non interessa soltanto vincere. Io sono in campo e voglio vincere, perché voglio cambiare le cose, perché so che la politica, quando è virtuosa, le cose può cambiarle davvero. Abbiamo bisogno di cura, di riconciliazione. Voglio essere un medico della mia città, mettere le mani dove fa più male e guarirla”.
“Io sono amico di tutti – continua il ragionamento -, del professore Lagalla, di Carolina Varchi, che sta dando una grande prova di militanza, di Totò Lentini. E avremo bisogno di tutti per portare avanti il sogno di una città diversa, di una città guarita. Non capisco, tuttavia, le polemiche e le divisioni. Glielo dico con franchezza: se qualche mese fa, avessi percepito quello che sarebbe successo, forse non mi sarei candidato. Non in un clima del genere. Sono qui perché so di potere contare sull’affetto e sulla vicinanza di tantissime persone oltre le sigle e credo che andrò almeno al ballottaggio, proprio perché, oltre le appartenenze, mi arrivano segnali fortissimi di incoraggiamenti. Non ho appelli da fare, ma un suggerimento: mettiamo al centro del discorso Palermo e poi parliamo del resto. Lasciamo da parte quello che ci divide e pensiamo al compito che c’è stato assegnato. Rischiamo di perdere un’occasione storica. E, una volta che l’avremo persa, il rimpianto di tutti renderà palese l’errore che si sta commettendo adesso”.
Una domanda però me la consenta, dottore Cascio: lei è in campo con la massima convinzione di restarci?
“Sì. Assolutamente, sì. Da questo momento in poi non parlerò più di di alleanze e questioni che riguardano i partiti, lascio che se ne occupino loro. Io parlerò soltanto della città”.