PALERMO – Dopo i rilievi della Corte dei conti e le bacchettate degli ispettori del Mef, al Comune di Palermo è scattato un nuovo allarme sui conti. Non che il capoluogo siciliano sia un caso isolato, visto che molti enti locali italiani sono da anni in sofferenza, ma la situazione di Palazzo delle Aquile, negli ultimi mesi, ha superato la soglia tollerabile di criticità e getta pesantissime ombre sul futuro di piazza Pretoria.
L’emergenza si è infatti sviluppata su più fronti, facendo venire al pettine problemi irrisolti da anni e costringendo gli uffici di via Roma a un agosto di “super lavoro” per tentare di arginare lo tsunami che rischia di abbattersi sull’amministrazione al rientro delle ferie estive. Perché se è vero che il Comune può vantare conti in ordine, al contrario di tante altre città costrette a chiedere aiuto allo Stato (vedi Catania), è altrettanto vero che dall’inizio del 2017 soffre di un grave problema di liquidità dovuto alla scarsissima capacità di riscuotere i tributi che, complice la chiusura di Bellolampo, potrebbe portare presto a una vera e propria crisi.
Il primo campanello d’allarme è scattato a fine luglio, quando la giunta Orlando ha approvato lo schema di bilancio consuntivo del 2018 dal quale è emerso che il Comune è in deficit strutturale; una condizione che viene accertata quando un ente locale sfora almeno la metà degli otto parametri decisi da Roma. I due che in particolare sono stati sforati da Palazzo delle Aquile e che hanno determinato il deficit sono i troppi debiti fuori bilancio, che costituiscono un vero e proprio bilancio parallelo fuori da ogni controllo e programmazione (e che non sono stati approvati tutti), e l’anticipazione di tesoreria non restituita alla fine dell’anno.
Ed è proprio su quest’ultimo punto che al Comune è scattato l’allarme più grande. Palermo, in poche parole, spende più di quello che incassa, il che non è certo cosa nuova visto che fa ricorso massiccio all’anticipazione di tesoreria già dal 2017, ma adesso il parametro è cambiato e considera deficitario l’ente locale che entro dicembre non riesce a restituire tutto, fosse anche un solo euro, mentre prima le maglie erano più larghe (infatti era sufficiente restituire almeno il 5% delle entrate correnti, ossia qualche decina di milioni di euro). Così i nuovi parametri decisi da Roma alla fine del 2018 hanno inguaiato il Comune di Palermo che adesso, di punto in bianco, si trova in deficit.
Come detto, un ente locale ricorre all’anticipazione di tesoreria quando non riesce a incassare tutte le tasse che dovrebbe e si ritrova quindi senza liquidi (cioè denaro in cassa), tanto da essere costretto a farsi prestare i soldi pagando degli interessi. Un meccanismo ben conosciuto da tante famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese, ma che per gli enti locali deve seguire regole ben precise: c’è un limite alle anticipazioni e bisogna restituire i soldi gradualmente, una volta che si incassano i tributi.
Il dramma è che il Comune di Palermo incassa poco, anzi pochissimo. Nel 2019, numeri del previsionale alla mano, fra imposte dirette e indirette (come l’Irpef o altre somme che introita lo Stato e poi gira ai comuni) dovrebbero arrivare oltre 500 milioni di euro: ma, come scrivono i Revisori dei conti nel parere al bilancio di quest’anno, la percentuale di riscossione è pari al 56%. Il che significa la metà del previsto, a fronte di spese che invece si fanno tutte e che a volte sono anche superiori a quanto preventivato (da qui i debiti fuori bilancio). Il Comune alla fine riuscirà a incassare l’altra metà delle tasse (almeno in parte), ma solo nei prossimi anni e a furia di cartelle esattoriali e ravvedimenti operosi, mentre le spese sono immediate. Piazza Pretoria ha così fatto ricorso a quasi tutta l’anticipazione di cassa possibile e immaginabile e adesso è arrivata al limite.
Morale della favola, Palermo è in deficit e ci resterà per tutto il 2019: già dal bilancio del prossimo anno le cose torneranno a posto, ma gli effetti del deficit 2018 si avranno nel 2020. Per legge il Comune sarà costretto non solo ad aumentare le tariffe (in modo da coprire i costi per almeno il 36%) per asili, musei, cimiteri e impianti sportivi, ma sarà anche sottoposto al controllo centrale di compatibilità finanziaria dello Stato su dotazioni organiche e assunzioni. Le stabilizzazioni dei 600 precari non dovrebbero subire ripercussioni, visto che il costo è tutto a carico dello Stato, ma a poter subire uno stop saranno, con molta probabilità, i concorsi e le assunzioni pagate dal Comune: in questo caso sarà lo Stato a dover dare disco verde, verificando prima che ci siano i soldi.
Tutto qui? No, perché la mancanza di liquidità e il divieto di farsi anticipare altri soldi rendono la situazione del Comune molto precaria e al minimo intoppo scatta l’emergenza. Lo dimostra il caos scoppiato per la chiusura della discarica di Bellolampo: lo stop ai conferimenti durerà, secondo le stime fatte dalla Rap, fino alla primavera del 2020 e intanto Palermo deve portare la propria immondizia in giro per la Sicilia, complice anche una bassissima differenziata, con un costo (stimato ufficialmente da Rap in un recentissimo documento) di 17 milioni di europer il solo 2019, che arrivano a oltre 20 con l’Iva (anche se dal Comune pensano che alla fine saranno soltanto una decina i milioni necessari). Una situazione che non è certo una novità e che tutti pronosticavano da mesi, tutti tranne la Rap e gli uffici comunali preposti alla gestione dei rifiuti che si sono accorti del “buco” quando ormai era troppo tardi e nonostante il Consiglio comunale li avesse, mesi prima, invitati a vigilare attentamente E visto che i soldi devono essere presi dalla Tari, pena il danno erariale, Sala delle Lapidi avrebbe dovuto ritoccare al rialzo le tariffe della tassa. Il termine ultimo per poterlo fare era il 31 luglio ma la richiesta di più soldi è stata formalizzata solo qualche giorno prima, rendendo impossibile rivedere i coefficienti.
Il Comune, sulla base di una lettera ufficiale dell’Ufficio Ambiente dello scorso 7 agosto, ritiene che ad accollarsi i costi debba essere necessariamente la Regione, responsabile dei ritardi nella realizzazione della settima vasca, ma anche se da Palazzo d’Orleans arrivasse una disponibilità in tal senso (cosa che molti ritengono alquanto improbabile, visto che si creerebbe un precedente pericoloso per le casse regionali) dovrebbe essere comunque il Comune ad anticipare i soldi. Ma tra scarsa liquidità e anticipazione al limite, non si sa dove trovare le risorse.
Una situazione ingarbugliata che produce un ulteriore effetto: come hanno scritto i Revisori, la necessità di pagare i costi extra dei rifiuti ha creato uno squilibrio nei conti 2019, cioè una voragine da colmare. La Ragioneria Generale al momento non ha ancora dichiarato ufficialmente lo squilibrio perché secondo l’ufficio Ambiente sarà la Regione a farsi carico dei costi extra, ma è assai probabile che si tratti solo di una questione di tempo, visto che anche le casse regionali non godono di grande salute.
Al netto dei tecnicismi, il rientro dalle ferie rischia di trasformarsi in un vero e proprio incubo per l’amministrazione comunale. Perché oltre a mancare i soldi per coprire i costi extra dei rifiuti, la scarsa liquidità potrebbe creare difficoltà anche nell’affrontare le spese correnti sia verso i fornitori che verso le società partecipate. Esattamente lo stesso copione che si verificò nel dicembre 2018, quando il ritardo nel trasferimento dei fondi statali non consentì di pagare le fatture della Rap mandando gambe all’aria il ritiro dell’immondizia tra Natale e Capodanno.
Una situazione da far tremare i polsi e che crea non poca apprensione nell’amministrazione Orlando che, alle porte dell’autunno, dovrà trovare il modo di evitare il disequilibrio, approvare il consuntivo 2018 per il quale è già arrivato il commissario regionale, rimpinguare le casse per scansare possibili guai con le partecipate e anche rimettere in ordine i numeri della Tosap, che si è scoperto essere sovrastimati e che quindi vanno rivisti in fretta e furia. Il tutto in vista del 2020, quando il Comune dovrà raddoppiare le tariffe e trovare altre somme per il Fondo crediti di dubbia esigibilità. Si tratta in pratica di un calderone con cui “coprire” quei crediti incerti e non creare altri buchi: Palermo, dal 2015, ha scelto un metodo di calcolo semplificato, previsto per legge, che ha consentito di accantonare meno denaro, risparmiando centinaia di milioni, ma che non ha fatto altro che posticipare il problema. All’appello mancherebbero 270 milioni che, a meno di modifiche normative, andranno trovati l’anno prossimo.
“Non è corretto dire che il Comune sia in deficit, visto che noi siamo nelle condizioni di onorare i nostri impegni e che i parametri sono stati cambiati in modo retroattivo – dice l’assessore al Bilancio Roberto D’Agostino – e non siamo nemmeno in disequilibrio. Sui numeri Tosap è già stata individuata una soluzione e non ci saranno rischi per le assunzioni, mentre siamo al lavoro sulla bassa capacità di riscossione: la giunta ha approvato una modifica al regolamento che adesso sarà sottoposta al consiglio comunale, così da convincere i titolari di utenze non domestiche a mettersi in regola e stiamo raccogliendo gli ottimi frutti del ravvedimento operoso. Per quanto riguarda la liquidità, i mandati di pagamento vengono lavorati in ordine cronologico con una deroga per le partecipate e abbiamo potenziato la struttura per fare fronte alle necessità delle Attività sociali per evitare ritardi, posto che a volte sono i trasferimenti regionali o nazionali a non arrivare puntualmente. Come Anci, inoltre, abbiamo chiesto al governo nazionale di inserire la Tari in bolletta, al pari del canone Rai, e di modificare le norme sul Fondo crediti di dubbia esigibilità”.
Un rompicapo bello e buono per il sindaco Leoluca Orlando, ma anche una sfida politica per la sua intera maggioranza: i risultati ottenuti in questi anni rischiano infatti di essere oscurati dai problemi di bilancio e di paralizzare la macchina amministrativa. Una sciagura, specie per chi a sinistra guarda con sempre più apprensione al 2022.