CATANIA – Il verdetto pronunciato da Roberto Passalacqua presidente della Prima sezione penale del Tribunale etneo, è arrivato venti minuti prima delle ore 13. Da qualche settimana c’era anche chi si era lasciato andare a previsioni e pronostici su quella che sarebbe stata la decisione dei giudici: quasi fosse una partita di calcio. Ed in una città che non disdegna dividersi e contrapporsi in fazioni e tifoserie, l’assoluzione per l’editore catanese Mario Ciancio dall’accusa più pesante – quella di concorso esterno in associazione mafiosa – rimette inevitabilmente in discussione anni di accuse e difese, congetture e prove documentate.
E la tentazione di sentire e chiamare in causa il direttore de La Sicilia (la testata cardine dell’universo editoriale Ciancio), Antonello Piraneo, è stata forte. Quasi necessaria. E lui non si è affatto sottratto: “Ho appreso del verdetto dai colleghi che erano in aula – spiega -. E l’ho appreso con grande serenità. Non lo dico solo in riferimento alla mia persona ma anche della redazione, siamo sempre stati convinti che tutto potesse e dovesse finire con un’assoluzione. L’auspicio, adesso, è che quello che è accaduto ieri possa rappresentare un nuovo inizio”.
Eppure, ieri rischiava di essere scritta la pagina più dura. Così alla fine non è stato.
“Il momento più duro, in realtà, è stato il giorno del sequestro. In quel caso fummo davvero scossi, e non tanto per la vicenda processuale che riguardava l’editore che a quel tempo era anche direttore e che certamente ci stava a cuore, ma perché fu accostato il nostro lavoro a un processo di mafia. A una mafiosità latente sul nostro lavoro, a una linea editoriale citata in un atto giudiziario”.
Nulla di tutto questo?
“Abbiamo vissuto qui una parte importante della nostra vita non solo dal punto di vista professionale. Direi che, come minimo, di certe cose ce ne saremmo dovuti accorgere. Una linea editoriale, per definizione, se c’è uno che la impartisce c’è anche uno che la esegue: e tutto questo non c’è mai stato. Io non l’avrei mai accettata. Il pane è importante ma uno può cercarselo anche da un’altra parte”.
Però dal 2018 a ieri sono stati prodotti numerosi atti processuali e sfilato decine di testi.
“Mi limito a dire che sentire quelle parole e leggere quegli atti ci ha fatto davvero male. In questi cinque anni abbiamo saputo dare una risposta col lavoro e non con le parole. E in tanti ci hanno riconosciuto che la testata non aveva nulla a che fare con la vicenda. Ce l’hanno detto persino alcuni magistrati”.
Il direttore Piraneo che idea si è fatto di tutta questa storia?
“Io sono convinto, come spesso accade non solo a Catania, che si è preso uno scalpo. Lo scalpo più importante e più intoccabile: e con lui si è inteso processare una persona ma di fatto era un processo alla città. Il problema non è di non processare una città. Il problema è di processare una città quarant’anni dopo quei fatti e quel contesto.
Si sono voluti leggere con gli occhiali di oggi fatti di ieri e di ieri l’altro. Parlare di cronache di mafia e di antimafia, riavvolgendo il nastro fino agli anni settanta e inizio anni ottanta, rischia di essere davvero fuorviante. Ho avuto modo di scrivere che Mario Ciancio, in quanto editore non potente ma potentissimo, meritasse non un processo ma un dibattito, anche severo, sullo sviluppo delle nostre città. Ma non un processo penale”.
Però i fatti dicono che un processo c’è stato.
“A giurisprudenza mi insegnarono che si va a processo per un reato definito, non una generica impressione. Massimo rispetto del lavoro dei giudici ma a processo si va per verificare l’esistenza di una fattispecie di reato ben definita. Men che meno per una convinzione. Io oggi non commento la sentenza, della quale attenderemo anche le motivazioni, ma la vicenda nel suo contesto”.
Cosa cambia adesso nel destino del giornale?
“Credo che questo possa essere un bivio importante per ridare serenità alla famiglia proprietaria che ha oggi, ancora più di ieri, il dovere morale e l’obbligo di dare continuità a questo cammino che non è soltanto lavoro ma che – piaccia o non piaccia – è un pezzo di Storia di Sicilia: ho l’ambizione di dire, un pezzo di Storia di democrazia. Siamo una voce a disposizione anche di chi, di questo giornale, dice peste e corna. Ma è legittimo anche questo”.
Non è un mistero che si faccia un gran parlare della possibilità che il giornale possa passare di mano ed essere venduto: questa sentenza rimescola le carte?
“Sono sincero: non lo so. Posso ribadire, da parte mia, che c’è l’obbligo morale di dare continuità. In che modo? Questa è una scelta che dovrà fare la famiglia Ciancio”.
In ballo c’è la questione legata ai giornalisti.
“Siamo più sereni e convinti che il lavoro che ha consentito alla famiglia di restare proprietaria di un giornale autorevole, e quindi spendibile sul mercato, debba essere ripagato al meglio delle condizioni date”.