CATANIA – Chi non ha mai ricevuto una telefonata da una centralinista call center con l’accento dell’est Europa? È una prova concreta della delocalizzazione subita da tantissime aziende call center in Italia costrette negli ultimi tempi a chiudere i battenti, stritolate dai bassissimi costi di lavoro che caratterizzano le ditte “concorrenti” estere.
Un problema nazionale. Nei giorni scorsi il licenziamento ha bussato alle porte di 150 operatori del call center lombardo Sitel delocalizzato in Serbia, da nord a sud la situazione non cambia, esempio lampante lo è proprio l’azienda Almaviva Contact che conta sedi su tutto il territorio dello stivale.
“Non vogliamo essere i prossimi ad andare al macello” urlano all’unanimità gli impiegati della sede etnea di Almaviva che nel catanese conta circa 2.000 operatori, molti dei quali in esubero così come a Napoli. L’azienda a seguito dei recenti risvolti rischia di serrare le porte di via Cardillo, a Misterbianco, Almaviva avrebbe già licenziato centinaia di operatori a Roma.
Ed è proprio davanti la sede dello stabilimento di Misterbianco che dopo la manifestazione di questa mattina, alle 17 gli impiegati etnei si sono riuniti nuovamente per “scongiurare l’irreparabile” come preannunciato nei giorni scorsi dai rappresentanti sindacali.
“Chiediamo il sostegno della città – spiega un dipendente – tutti possono raggiungerci e lottare insieme a noi, questo lavoro seppur precario ci consente di mantenere una vita dignitosa, non dobbiamo permettere a nessuno di rubarci il lavoro. La delocalizzazione è un problema di carattere pubblico e sociale”. Non tutti sanno infatti che con la delocalizzazione dei call center tantissimi dati e nominativi verrebbero “esportati” beffando così la Tutela della Privavy e gli utenti stessi.
Oltre alle bandiere sindacali e ai cartelloni a presidiare la manifestazione anche un paio di scatoloni raffiguranti alcuni dei loghi delle principali aziende committenti di Almaviva, la destinazione dei pacchi? Albania, Romania e Serbia. “Tutte le principali aziende di telecomunicazione d’Italia hanno sempre fatto riferimento ad Almaviva – prosegue un altro operatore call center – adesso non possono voltarci le spalle soltanto perché all’Estero i costi sono molto più bassi. Negli anni abbiamo acquisito una importante competenza, tra di noi ci sono ragazzi laureati, ma anche molti ultra quarantenni, soprattutto loro che futuro avrebbero se venissero licenziati?”
Tante le inziative messe in campo. Flashmob, manifestazioni, gruppi su Fb e persino la creazione dell’hashtag #StopDelocalizzazioni.
AGGIORNAMENTO delle 19. “Questo è il primo vero giorno di protesta, ma sicuramente ce ne saranno altri”, non ha dubbi il signor Natale uno degli operatori Almaviva che insieme alla moglie, anche lei impiegata nella stessa azienda, aveva costruito la propria famiglia sul lavoro che adesso vede sgretolarsi sotto i piedi. “Siamo laureati entrambi, abbiamo dei figli, abbiamo un mutuo, la chiusura di Almaviva sarebbe per tutti una vera bomba sociale”.
Il messagio al Premier Renzi. “La nostra protesta non è indirizzata ai titolari di Almaviva – prosegue Natale, voce della manifestazione sin da questa mattina – ma al Governo Renzi. In Francia così come ha fatto Obama in America, ci sono leggi che penalizzano le aziende che decidono la strada della delocalizzazione a discapito dei propri lavoratori, ecco l’Italia ha bisogno di regole”.
La protesta continua, non è ancora tramontato il sole alle 19 a Catania così come non lo è la determinazione e la voglia dei manifestanti di non arrendersi: “Non abbiamo nessuna intenzione di svendere la nostra pelle”.