Talvolta può accadere che a scrivere di Catania arrivi un non catanese rimasto folgorato dalle tante contraddizioni della città del Vulcano. Come Marco Antonio D’Aiutolo, un campano di Salerno. Che però ha studiato e sta studiando tanto, tantissimo. Più di tanti altri. L’obiettivo è di non lasciare nulla al caso, soprattutto se c’è da ricostruire un contesto storico ormai perso tra le sabbie del tempo. (E ci riesce). Mani di mandarino. La coscienza di un caruso (Milena edizioni) è una fotografia fino troppo vivida della Catania fascista e della Jonia di allora, senza tralasciare nulla delle polveri di Mascali e Sant’Alfio.
Masculi e fimmine
Non si tratta di un’apologia del tempo che fu, anzi. Si tratta, semmai, dell’esatto contrario. Della storia di un liceale catanese, Gabriele, che scopre la dimensione della sessualità scrutando, però, gli altri maschi. Succede oggi, succedeva allora. Nonostante le narrazioni su fascisti e siciliani. Fimminari e uomini tutti d’un pezzo. Ma quando mai! Tant’è che anche tra le pieghe del Bell’Antonio di Vitaliano Brancati, un classico vissuto e pensato nel pieno degli anni ruggenti, si può trovare ben altro. L’omosessualità. Domenico Trischitta, sull’argomento, si è già espresso con estrema chiarezza.
Il vocabolario
Arrusi, jarrusi, garrusi, puppi, mezza fimmina e frequenze simili. D’Aiutolo esplora con passione filologica il lessico siciliano sul tema. Prima ancora del vocabolario Lgbtq, il dialetto di Trinacria ha forgiato – ben prima delle leggi che prevedevano di organizzare la sessualità attraverso i dispacci questurini – un arcobaleno di parole tanto colorito, quanto maligno. “Ti vistiristi mai da fimmina? Iu fimmina sugnu! Fimmina? Cu i masculi stesti? E sapissi quanti ce ne stanno a Catania! Nenti voglio sapiri, nenti. Stasira, se veni cu mìa, ti fazzu vidiri. Veni all’Archi da marina. Veni!”.
Le allusioni
La storia dei luoghi. I misteri. Le allusioni. Il sottobosco urbano. Ma anche le liturgie e le bugie di un’alta società fin troppo convinta delle proprie virtù. In Mani di mandarino c’è questo e anche di più. Il ritratto di una città carnale. L’intelaiatura storica e sociologica va di pari passo con le incertezze di Gabriele e serve a suscitare più di un interrogativo sulle identità individuali. Pagine che scorrono veloci e incuriosiscono, ma che non finiscono lì. Non fosse altro che si tratta soltanto della prima di cinque puntate. Una saga, appunto. Con al centro però una Catania nascosta e una piazza Alcalà che non esiste più. In tutti i sensi.