Catania, le voci e lo stallo: ancora in porto le navi di migranti - Live Sicilia

Catania, le voci e lo stallo: ancora in porto le navi di migranti

Tra le banchine catanesi, dove centinaia di persone sono bloccate a bordo dei due battelli Ong in attesa di sapere se potranno sbarcare

CATANIA – In fondo è la caratteristica principale di un porto, quella di riparare dalla confusione e dal mare grosso. Così, mentre nella giornata di ieri nel porto di Catania andava in scena il braccio di ferro tra il governo Meloni e le Ong che raccolgono naufraghi nel Mediterraneo, tra le banchine regnava una calma surreale. Il mare grosso era altrove: al largo di Catania, dove più di trecento migranti continuano ad attendere un porto sicuro, dopo settimane in mare. E a Roma, dove tre ministeri, dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture, scrivono un decreto in cui ordinano alla Humanity One e alla Geo Barents di riprendere il largo dopo aver sbarcato i passeggeri “fragili”.

Le voci

A rincorrersi al porto di Catania sono allora le voci. Quella del comandante di Humanity One Joachim Ebeling, ad esempio: calma, composta. Con un accenno di sorriso dice di aver pensato soprattutto alla sicurezza della sua nave e poi parla dei 35 migranti rimasti a bordo, con cui in teoria, secondo il decreto del ministro dell’interno Matteo Piantedosi, dovrebbe riprendere il largo: “Una soluzione va trovata qui. Non ripartirò con loro a bordo, perché sarebbe contro le leggi nazionali e internazionali”.

Oppure la voce dei parlamentari, indignata e a tratti incredula. “La carta costituzionale è usata come un campo da ping pong” denuncia Aboubakar Soumahoro, Sinistra Italiana, al porto di Catania fin dalla notte per l’arrivo della Humanity One. Per Giuseppe Provenzano, Pd, è in corso “una gravissima violazione del diritto internazionale e del senso di umanità, ci sono persone che hanno subito una gravissima discriminazione: il governo ha scelto arbitrariamente chi può scegliere e chi no. Sono richiedenti asilo e devono scendere”.

La voce di chi è chiamato ad applicare le direttive ministeriali è quella di Claudio Pulvirenti, direttore regionale dell’Usmaf, Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera, dipendente dal ministero della Sanità. Che è costretto a parlare la lingua del funzionario: “Il volere del governo – dice Pulvirenti – è tutelare la salute dei migranti. Quello che noi facciamo è quindi un triage clinico di chi è a bordo. Il discrimine è scientifico: se il soggetto sta bene è chiaro che resta a bordo”.

Non si sente, invece, la voce dei ministeri, che si manifesta in modo diverso da quella di chi parla con le corde vocali. Il governo parla la lingua delle barriere in ferro e cemento, dei cordoni di polizia, dei documenti e dei decreti. Come quello del ministro Piantedosi che stabilisce di selezionare quali naufraghi sbarcare e quali no. O il decreto a firma congiunta di tre ministeri, quello dell’Interno diretto da Piantedosi, quello della difesa diretto da Guido Crosetto e quello delle infrastrutture diretto da Matteo Salvini. Che vieta alla Geo Barents di rimanere in acque italiane oltre al tempo necessario per sbarcare i migranti “fragili”, e poi chiosa beffardo: “Alle persone che restano a bordo sarà comunque assicurata l’assistenza per l’uscita dalle acque territoriali”.

Gli sbarchi e lo stallo

A fine giornata dunque c’è una specie di stallo alla messicana. Humanity One e Geo Barents sono entrambe fisicamente ormeggiate alle banchine del porto di Catania, lontane dai trenta nodi di vento che negli ultimi giorni hanno sferzato il Canale di Sicilia e lo Ionio. Ma, dato che il governo non ha assegnato loro un Pos (place of safety), le loro missioni Sar sono ancora in corso. Questo crea uno stallo: ripartire significherebbe mettere a repentaglio le vite di naufraghi, cosa illegale secondo ogni accordo internazionale. Al tempo stesso, il governo si rifiuta di fare sbarcare tutti e chiede alle due navi di ripartire con a bordo chi non è potuto sbarcare.

Il dispositivo della sicurezza e dell’accoglienza messo a punto dalla Prefettura fa sbarcare i migranti dopo un’accurata selezione decisa dal ministero dell’Interno, e al tempo stesso tiene lontana la stampa dalla zona. Intorno alle barriere si radunano alcuni manifestanti. Ma è come se Catania fosse il terminale di un dramma che si svolge altrove. A Roma tra i decreti e le manovre di palazzo, e in mezzo al Canale di Sicilia tra le onde: i due luoghi in cui si decide la vita di migliaia di persone scampate al naufragio.


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