CATANIA – Una laurea in mano, una valigia piena di sogni e ambizioni, ma tante paure per il futuro. E’ questa la condizione di un giovane che lascia le mura universitarie per intraprendere la strada del mercato del lavoro. Fornire gli strumenti per “fare nuova impresa” potrebbe essere un mezzo educativo di grande importanza visti i tempi di crisi. L’iniziativa imprenditoriale sembra sia diventata una delle strade più sicure per avere un’occupazione stabile.
“Start Up Academy” scommette sui giovani e soprattutto sulle idee giovani. Il contest d’Ateneo è partito lo scorso venerdì alla Scuola Superiore di Catania con il primo successo agguantato: quello dei numeri. Ventiquattro team ammessi, quattro in più di quelli inizialmente previsti; ottantanove partecipanti tra studenti di laurea triennale, magistrale e una quindicina di dottorandi; una ampia rappresentanza dei vari dipartimenti e corsi di laurea, con economisti aziendali, fisici, ingegneri edili, ingegneri informatici ed economisti in forte prevalenza su tutti gli altri. I team sono al lavoro: hanno tempo fino al 22 maggio quando ci sarà il Gran Finale. I seminari iniziati il 7 marzo termineranno il 16 maggio. Domani è in programma il secondo incontro con Roberto Bonzio di Italiani di Frontiera.
Non c’è settore che non è stato toccato dai partecipanti, dall’agricoltura all’informatica, dal comparto energetico all’impiego di materiali innovativi. E non finisce qui, perchè l’Information Technology è un tema gettonatissimo per “le idee impresa”, così come le fantomatiche App. E con molta sorpresa entrano in scena anche la solidarietà e il sociale.
Una delle menti del contest è il presidente di Capitt (Centro per l’aggiornamento professionale, l’innovazione e il trasferimento tecnologico) Rosario Faraci, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, nonchè delegato del Rettore e presidente del corso di laurea in Economia Aziendale.
Start Up Academy, è un’occasione di formazione per i giovani per affrontare il futuro lavorativo?
Start Up Academy è primariamente una iniziativa di animazione della cultura delle start up per i nostri universitari, studenti e dottorandi. Ovviamente diventa anche un’occasione per affrontare temi rilevanti per il mercato del lavoro e delle professioni: il team building, la cultura della pianificazione economico-finanziaria, il project management, lo spirito di iniziativa imprenditoriale. Il macro-tema dell’imprenditorialità nascente non si può però esaurire con Start Up Academy e con le altre iniziative di animazione (prossimamente partirà Start Cup Sicilia che coinvolgerà le quattro Università siciliane). L’Ateneo di Catania è presente anche con il Contamination Lab, uno dei quattro centri per la contaminazione della cultura imprenditoriale finanziati dal Miur e sta collaborando attivamente alle iniziative di incubazione ed accelerazione presenti nel territorio.
Il Contest con quali obiettivi è nato?
Sulla scia dell’esperienza positiva ed esaltante maturata negli ultimi due anni nel corso di laurea in Economia Aziendale, il Contest – da quest’anno esteso all’Ateneo – intende far giocare gli universitari a fare nuova impresa, sottoponendo le loro idee-progettuali prima e i loro progetti di business poi alla valutazione di un gruppo di esperti, professionisti, venture capitalist ed operatori del mondo delle start up. Dal gioco, come confermato da analoghe virtuose esperienze nel resto del Paese, possono nascere nuovi progetti imprenditoriali e start up innovative. In tal senso, il Contest è il primo momento di un progetto più ampio che si completerà con Start Cup Sicilia entro l’anno.
Una domanda, forse un po’ scomoda, ma l’Università prepara adeguatamente i giovani ad affrontare un mercato del lavoro come quello di oggi?
Non è una domanda scomoda, ma è quello che si chiede la gente comune, che si chiedono i genitori che mandano i propri figli all’Università, che si chiedono gli stessi universitari. Potrei rispondere evocando il paradigma dell’Universitas che crea una forma mentis, che produce saperi generalisti e non specialistici, che insegna un metodo e che dunque crea le basi conoscitive per il futuro lavoratore. Ma finirei per glissare la sua domanda. Dico, invece, che parallelamente a quel modello di Università, che si sta rivedendo alla luce delle procedure AVA di certificazione della qualità in atto, c’è bisogno pure di un’Università che mi piace chiamare “capovolta” che riporta lo studente-futuro lavoratore al centro del processo di apprendimento, che abbina il saper fare e il saper essere ai saperi tradizionali, che deve saper dialogare con le imprese (sia le start up che quelle esistenti) e portarle dentro le aule, che deve stimolare la collaborazione fra gli studenti nei progetti, nelle iniziative autogestite, nel modo stesso di insegnare (per noi docenti) e di apprendere (per gli studenti). In tal modo, si esplorano le traiettorie del mercato del lavoro. Su questa strada ovviamente c’è ancora molto da fare, anche se non mancano, pure nel nostro Ateneo, esperienze virtuose.