E’ stato un Venerdì Santo insolito per la diocesi di Agrigento che, oltre a far fronte alle già evidenti problematiche legate all’emergenza coronavirus, ha visto per la prima volta nella sua storia una doppia funzione liturgica celebrata contemporaneamente, e in due luoghi distinti, dai due pastori che guidano la chiesa agrigentina: l’ultima per il cardinale Francesco Montenegro, dalla cattedrale di Agrigento dove era arrivato nel 2008, e la prima a Lampedusa per monsignor Alessandro Damiano, primo vescovo coadiutore, che dal settembre scorso affianca Montenegro e che a breve lo sostituirà a tutti gli effetti alla guida della chiesa agrigentina.
Diversi gli aspetti affrontanti dal cardinale Montenegro nel suo messaggio rivolto alla Città dei Templi e all’intera comunità agrigentina: dal sacrificio dei medici e del personale sanitario durante la pandemia all’ Europa che continua a perdere occasioni per mostrarsi aperta e solidale. Un pensiero è stato rivolto anche ai giovani che “stanno vedendo il mondo cambiare per la pandemia e sono spaesati, impauriti, anche in lacrime” e al giudice Rosario Livatino che, proprio nella Cattedrale di Agrigento, sarà proclamato beato il prossimo maggio.
Ecco il testo integrale del discorso del cardinale.
Il messaggio del cardinale Montenegro
“Gesù sono qui, di fronte alla tua immagine deposta nell’urna, in questo Venerdì Santo, di nuovo insolito, anche se non uguale a quello dell’anno appena trascorso. Il Covid ha impresso alla vita di tutti una sospensione, una vera interruzione. Ne risente perfino la liturgia della Chiesa, così come la nostra pietà popolare. Cerchiamo di adattarci, ma nulla è, e temo sarà, come prima. Anche il modo di comunicare è cambiato, oggi parliamo soprattutto di tamponi rapidi e molecolari; di indici di contagio; di terapie intensive; di vaccini; di immunità… Siamo passati dal lessico martellante dell’economia e della finanza: borse, indice, spread … al lessico della salute. Ma ho l’impressione, posso sbagliarmi – ha proseguito – che assieme a questi termini tecnici non riusciamo a dire con la stessa frequenza parole quali prendersi cura, attenzione per l’altro, gentilezza, insomma le parole tipiche della fratellanza. E non sempre a questi termini seguono azioni di vicinanza. Prima, per esempio, i medici, gli infermieri, i volontari e gli altri impegnati coi malati erano eroi, oggi, pur continuando a fare le stesse cose, non sono più guardati benevolmente. Mah?!?. I segnali sono contrastanti. Ad azioni che ricordano l’olio e il vino del buon Samaritano, si mescolano atti di indifferenza e di indegna bassezza, che fanno pensare al sacerdote e al levita della parabola (cf Lc 10, 25-37), e addirittura li superano per cattiveria. Sai – ha detto al suo e nostro Signore – , anche quest’anno alcuni “scartati” in tante parti sono morti per assideramento e indifferenza. Sì, Gesù, oggi non si muore solo di Covid, e tu lo sai benissimo, ma anche di freddo, di inedia accompagnati dall’indifferenza dei più! “Quanta sofferenza» ripeteva il Papa a Lampedusa – nelle rotte della disperazione che solcano il mostro mare e continua la nostra finta meraviglia per i naufragi. Lo sappiamo tutti che quelle imbarcazioni fragili difficilmente riescono ad attraversare il mare, eppure con la bravura di chi sa fingere, riusciamo a dire: poveretti, ma subito aggiungiamo: se ne tornino a casa loro. Ognuno si pianga i suoi guai… Ora si è aggiunta la rotta balcanica. Altra sofferenza, altre tragedie, altro dolore. L’Europa continua a perdere occasioni per mostrarsi aperta e solidale, occupata com’è a costruire monumenti sull’acqua, di chiusura e crudeltà. E poi ci sono i profughi di guerre senza fine, che continuano ad affollare campi… e i loro bambini sono costretti ad andare a scuola sotto le tende e le bombe o vengono rapiti per imbracciare i mitra. Se fossero i nostri figli … In Nyanmar, in nome dell’arroganza del potere, si spara su pacifici manifestanti… È vero, sono fatti che avvengono lontano da noi. Eppure, tu ci hai ricordato sino alla fine che siamo tutti fratelli. «Quanta sofferenza».”“Ma sai questi fatti, anche se in modalità diverse, capitano anche da noi. Mi riferisco a quanto accaduto a Licata, fatti che ci hanno lasciato indifferenti. Cose impensabili in un paese civile, né ci mette la coscienza a posto sparando una facile condanna. Abbiamo bisogno di chiederci dinanzi a te, e lo facciamo stasera: cosa non funziona in noi? Perché non riusciamo a trasmettere il tuo profumo? Perché ci rattristiamo per il fatto che non possiamo svolgere le funzioni religiose della Settimana Santa secondo le tradizioni e poi trattiamo i disabili, gli anziani, gli ammalati come pesi su cui scaricare la ferocia e l’aggressività. Loro sono il segno perenne di Te, crocifisso sul Golgota: «I poveri… li avete sempre con voi» (Mc 14,7). Stasera penso ai nostri giovani. Oggi sembra che sia una colpa essere giovani. Stanno vedendo il mondo cambiare per la pandemia e sono spaesati, impauriti, anche in lacrime; non sanno più qual è il loro posto. Sono colpiti dalla pandemia ma anche dal giudizio degli adulti, che probabilmente non riescono a capirli fino in fondo e chiedono ai ragazzi ciò che gli stessi adulti non riescono a fare. Molti li vedo partire e vivere lontani dai loro territori e affetti: si svuotano i nostri paesi, ci si impoverisce di vita. E noi osserviamo rassegnati. Gesù, hai detto: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37). Ci inviti cioè a fare la nostra parte: non importa se piccola o grande. Spesso – ha notato – non si tratta di donare cose o soldi, anche se quelli servono. C’è fame di pane e di sorrisi; di perdono e speranza; di sguardi e di saluti…. Dovremmo, Signore, reimparare a chiedere: «come stai?». Invece siamo troppo presi dal: «che cosa vuoi?». Ti penso, Signore, quando il tuo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra (cfr Lc 22,44). Signore, sappiamo che ci capisci, perché hai vissuto nel totale abbandono e nella più ignobile solitudine, la notti dell’angoscia della morte (cf Mc 14,33) In quella notte sei stato triste fino a morire (cf Mt 26,38). Pietro, uno dei tuoi amici più fidati ti rinnegherà; Giuda, ti venderà come una cianfrusaglia di poco valore; i soldati, si faranno beffe di Te e scaricheranno le loro frustrazioni sul tuo corpo: quanta violenza! «Quanta sofferenza». I sacerdoti del Tempio, ti condanneranno senza appello: “Crocifiggi, crocifiggi…”, così urleranno a un Pilato che metterà a tacere la sua coscienza di uomo del potere con un po’ d’acqua versata sulle mani. Quanta corruzione nella tua triste vicenda, Signore! Quanti corrotti! Quanti corruttori! La corruzione: un male mortale travestito di bene e di giustizia, e perfino del fascino della bellezza. Pensa un po’, si gioca per interessi anche col numero dei malati e dei morti del Covid. Rosario Livatino – ha proseguito ricordando il prossimo beato martire della giustizia – ravvisò nella corruzione un male strutturale, capace di ferire mortalmente, ancora oggi, questa nostra terra, così bella, a tristi primati di inefficienza pubblica e invivibilità privata. Anche Livatino, come Te, visse il suo lungo Getsemani. Dovette attraversare l’angoscia della minaccia. Dovette scegliere come Te se abbandonarsi alla convenienza o conseguire il bene maggiore. Tanto la tua, quanto la vicenda dei testimoni di ogni tempo, e di ogni condizione sociale, compresa quella di padre Vinti, non possono non inscriversi nella logica del dono – libero, assoluto, senza contraccambio – nella logica dell’amore.” “Amatevi l’un l’altro… Siate veri amici! Siate Fratelli! Questo il tuo unico comandamento. Per tutti.
Siate fratelli! Solo allora, l’alba di speranza per Agrigento si tingerà di Pasqua e profumerà di mandorli e di grano. Siate fratelli, reimparate a far bastare il pane per tutti, solo allora la «Concordia» cesserà d’esser il nome di un tempio e diverrà nome del tempo. Siate fratelli! Attivate le capacità di affrontare la notte, solo così, ungendo di vita e del futuro che viene dalla Pasqua, Agrigento cesserà di collezionare aggettivi per tornare ad essere nome proprio”. Signore, per l’ultima volta, pubblicamente, ti ho parlato della mia Chiesa, della mia Città e del territorio agrigentino. Però sai che continuerò a parlartene, anche da lontano, nella mia preghiera di intercessione e di lode. Non potrò scordare questa mia gente con le sue necessità, gente che mi hai affidato e che ho amato e amo. Tutti, Signore, abbiamo bisogno di Te!”Santa Maria, insieme al mite Giuseppe, insegnaci, a confidare nel Padre; permani con noi nelle tante notti della vita; guidaci a godere le albe dello Spirito e le sue primavere. Ricordaci che la fraternità è la festa della paternità di Dio e che la speranza è l’anima della fede e della carità. Amen”.