C’era una volta Totò Cuffaro. L’Udc lo ha “scaricato” – dietro le solite parole di vicinanza sul piano personale – il messaggio è chiaro. Le dimissioni? “Doverose”, ha sentenziato Casini. E’ la parola d’ordine. Chi vuole esprima pietas umana per Totò e certezza nella sua innocenza: tutto ciò è irrilevante. Di rilievo è la conseguenza della sentenza d’appello, il progressivo sganciamento della storia del partito siciliano dal cosiddetto “Cuffarismo”. La caduta del volto più noto del potere isolano, di questi ultimi anni, reca con sé un gran fragore. Un sospiro di consenso inarrestabile da parte di coloro che da tempo hanno denunciato le storture clientelari di quel sistema e che vedono riconosciuta la loro tesi, oltre ogni aspettativa, dal dettato dei giudici. Il rigoglioso scorrere di lacrime di quanti si sentono abbandonati, senza lo sceicco, senza il protettore, senza il santo in paradiso. Non è solo un riflesso interessato. C’è spazio per la genuinità del cordoglio. Come quella espressa, per esempio, dal consigliere Udc Doriana Ribaudo che su Facebook ha usato parole di tenera amicizia per il maestro ora in disgrazia. La generosità di chi non abbandona l’amico nel momento del bisogno è un sentimento nobile. Ma la storia va da un’altra parte. E non sono possibili compromessi: solidarizzare con Cuffaro significa non credere nella bontà del lavoro dei giudici, aspettare una forma di revisione alla “Mannino” (anche se le circostanze appaiono diverse). Nessuno potrebbe esprimere stima per il senatore “Salvatore Cuffaro” (niente vezzeggiativi ai colpevoli) se non fosse convinto della sua illibatezza.
Che tipo di politico è stato Salvatore-Totò Cuffaro e come sarà l’Udc senza di lui? Cominciamo dalla seconda domanda. Sarà un partito in grado di cominciare a riscrivere la sua vicenda recente. Sarà un partito non più coperto dal “Cuffarismo”, considerato qui oggettivamente – nel bene e nel male – come l’eclissi che copre le cose, il preambolo irrinunciabile. Non coinciderà più col percorso di un uomo solo. Potrà andare avanti o tornare indietro, ma avrà l’occasione di scoprire nuovi volti, di ascoltare altre voci. Ed ecco il primo quesito, che punge come un roveto. L’analisi diventa complicata quando l’opinione pubblica prevede che ci si divida tra amici degli amici ed ayatollah, senza spazio per giudizi meditati. Totò Cuffaro è stato per molti versi un siciliano tipico. Convinto – in ottima o in pessima fede – della supremazia del favore, della preminenza del rapporto personale. E’ un complesso di atteggiamenti che i siciliani, sbagliando, chiamano “amicizia”. Comprende il disinteresse e l’interesse. E’ la seconda pelle della politica, come dei rapporti di tutti i giorni: da Palazzo d’Orleans, all’ufficio postale. Se c’è una cosa che proprio si può imparare da questo tramonto cuffariano è la necessità di cambiare pelle, di tagliare un legame profondo con noi stessi. E che sia una rivolta di sostanza e non di facciata. Non soltanto la mafia è esecrabile e punibile, nel codice della nostra identità (e tutto ciò che è mafia è davvero esacrabile). Saremmo troppo indulgenti nel continuare a ritenere accettabili comportamenti deviati e favoreggiamenti semplici, solo perché non sono Cosa nostra.
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