"Cercavamo di ottenere il risultato" | Al processo Mori parla De Donno - Live Sicilia

“Cercavamo di ottenere il risultato” | Al processo Mori parla De Donno

L'ex colonnello dei carabinieri
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“Cercavamo di ottenere il risultato e credo lo abbiamo ottenuto”. Giuseppe De Donno risponde così a una domanda del pm Nino Di Matteo inerente la gestione del rapporto del Ros dei carabinieri con Vito Ciancimino in quel 1992 crocevia fra prima e seconda repubblica. L’ex colonnello dei carabinieri, oggi consulente per la sicurezza di aziende private (come la Impregilo), ha testimoniato al processo in corso a Palermo contro i suo ex superiori, Mario Mori e Mauro Obinu.

Durante l’esame compiuto dal legale Basilio Milio, De Donno ha ripercorso la sua carriera a fianco di Giovanni Falcone e le vicissitudini legate all’inchiesta “mafia appalti” di cui era uno dei principali artefici. Un metodo replicato con successo a Catania e Napoli – tanto che oggi si studia all’Università ‘Federico II’ – ma che ha Palermo ha avuto diversi problemi nel suo sviluppo.

De Donno ha parlato del rapporto con Vito Ciancimino, agevolato dal figlio Massimo. “Un personaggio particolare – lo descrive – con cui non si poteva attuare il classico approccio, la sua idea di sé stesso lo vedeva come un personaggio di primo livello, per cui il mio era un messaggio ‘umile’, di un semplice capitano dei carabinieri”. “Quando lui accetta, lo incontro 3 volte fra le due stragi (Capaci e via D’Amelio, ndr). Incontri interlocutori per avere indicazioni, valutazioni”. De Donno spiega chiaramente che l’intento del Ros era quello di capire cosa stava succedendo, il motivo del ricorso a stragi tanto eclatanti.

Dopo la strage di via D’Amelio le cose cambiano. “‘Lei deve parlare col mio comandante’ gli ho detto – spiega De Donno – Ciancimino era un capo e doveva parlare con un capo”. Così il 5 agosto c’è un primo incontro al quale ne seguono altri quattro. “Per fare cosa? Tentare per il tramite di Ciancimino un contatto con Cosa nostra per capire le loro intenzioni e le loro idee. Non l’abbiamo mai inteso come una trattativa”. E Don Vito non è stato neanche preso troppo sul serio. I carabinieri non si fidavano, credevano bluffasse e che il suo scopo fosse solo quello di liberarsi dai suoi guai giudiziari fino a quando al quarto incontro “ci spiazza”. Perché quando i due ufficiali chiedevano la consegna dei latitanti in cambio di un giusto processo e del buon trattamento delle loro famiglie, don Vito avrebbe risposto “su queste cose si muore”. “Saltò sulla sedia, divenne bianco – racconta De Donno – aveva veramente parlato con referenti di Cosa nostra e quindi ci disse: ‘questo discorso si interrompe, chiudiamola qui'”.

Ma dopo qualche tempo Massimo Ciancimino ricontatta De Donno per un nuovo incontro col padre. Questa volta don Vito è diretto: “Ma voi, cosa volete?”. “‘Catturare i capi’ è stata la nostra risposta e lui poteva aiutarci a catturare Riina. Con mappe e utenze poteva individuare il suo covo. Così gliele abbiamo fornite, ci ha chiesto ulteriori dettagli e glieli abbiamo dati. Il 19 dicembre 1992 gliele lasciai a casa sua, a Roma. Scesi e all’angolo vidi una Y10 con due individui sospetti”. Erano poliziotti, perché di lì a poco Vito Ciancimino sarà arrestato.

Ma se l’esame di De Donno è stato lineare, privo di sussulti, il controesame è stato molto più teso. Le domande del pm Di Matteo si sono fatte incalzanti, passando dall’attività di De Donno nel Sisde, al seguito sempre di Mori, al fatto che dei colloqui investigativi con Ciancimino, l’ex ufficiale ne ha parlato la prima volta solo nel 1997. Poi il rapporto “mafia-appalti” e lo stralcio delle posizioni dei politici, “trasmesse a Falcone e Lo Forte con un pre-rapporto” spiega De Donno.

Di Matteo tira fuori anche una nota interna al Ros dei carabinieri, datata 30 maggio 1992, che parlava di fratture fra Riina e Provenzano. De Donno afferma di non conoscerla e spiega come il tenore dei discorsi con Ciancimino non verteva su questi argomenti. “Adesso è tutto facile – ha detto visibilmente alterato – un ‘corleonese’…con quello che era successo, voleva parlare con me. Il rapporto confidenziale è una questione complessa. Se gli chiedevo di Riina e Provenzano non mi faceva neanche entrare”.

Ancora Di Matteo cita le dichiarazioni di De Donno alla procura di Firenze del 1997. “Nella trattativa eravamo in vesto dello Stato. Gli proponevano (a Ciancimino, ndr) di farsi tramite fra esponenti di Cosa nostra per trovare un punto d’incontro, un dialogo per fermare le stragi”. La tensione in aula aumenta, De Donno non ritratta quanto già detto e aggiunge come “è nel gioco delle parti. Come noi davamo per scontato che Ciancimino fosse un mafioso, lui dava per scontato che noi eravamo lì in veste di rappresentanti dello Stato”. Fino a quando il pm non affonda il colpo, quando chiede come mai non vi fosse alcuna traccia scritta di questi colloqui, un promemoria, un’agenda. “Lei vuole dire come ‘è meglio non lasciare nessuna traccia’” ride sarcastico De Donno che si arrabbia: “Questi sono comportamenti che non esistono nel Ros, è stata una mia scelta. Partecipava il vice comandante operativo (Mori, ndr), cosa dovevo scrivere?”. E si lascia andare a uno sfogo amaro: “Tutti se n’erano andati a spasso, tutta questa attività, queste persone le hanno arrestate il Ros. Noi parliamo a distanza di 20 anni”.

Resta ancora uno dubbio legato proprio a quel commento di De Donno: “Cercavamo di ottenere il risultato e credo lo abbiamo ottenuto”. Ma, agli atti, non risulta che la collaborazione confidenziale di Vito Ciancimino abbia portato ad alcun risultato.


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