PALERMO– Al momento, l’unica epidemia a Palermo è la psicosi da coronavirus. Basterebbe descrivere una scena di qualche tempo fa. Pullman di turisti che si svuota a piazza Verdi, lasciando scendere i passeggeri. Hanno gli occhi a mandorla e si assiste a un discreto, ma perentorio, fuggi fuggi generale, manco fossero sbarcati gli alieni cattivi del Pianeta Vega.
L’allarmismo è stato involontariamente accresciuto da una freschissima notizia. Ci sono ventotto i cinesi, proprio residenti a Palermo, in auto-isolamento per quindici giorni, dopo essere tornati a fine gennaio dalla Cina.
Il presidente dell’associazione Cinesi d’Oltremare, Han Guangrong, che si è mosso secondo linee concordate con le autorità ha chiarito: “Abbiamo affittato alcuni appartamenti per accogliere i ventotto concittadini che in via precauzionale staranno in quarantena per quattordici giorni. Facciamo questo con lo scopo di fare prevenzione contro il coronavirus. La comunità cinese di Palermo monitora continuamente il flusso dei concittadini che arrivano in città, per prevenire, informare e tranquillizzare tutti”.
Qualcuno, in effetti, si è tranquillizzato. Altri hanno tratto dal dispaccio delle notizie, rilanciate ovunque, nuovi motivi di inquietudine. Basta dare un’occhiata ai social. C’è chi ha provato a tagliare a fette la preoccupazione con una battuta: “Lo sapevo, colpa dello schiaffetto del Papa sulla mano della ragazza…”.
Il presidente Guangrong torna sull’argomento con LiveSicilia.it: “Si tratta solo di una precauzione, come ho affermato, per cui si sta attuando il protocollo di auto-isolamento. Ad oggi i ventotto compatrioti stanno tutti bene e tra due o tre giorni potranno muoversi liberamente. Non c’è alcun problema con le merci e con i ristoranti cinesi. Possiamo stare tranquilli”.
Nel frattempo, Salvo Ricco per l’Ansa ha intervistato uno dei ‘reclusi’. Si chiama Han Bin Bin, trentuno anni, è sposato ha due figli. Racconta: “A fine gennaio sono arrivato in aereo via Roma e ho indossato la mascherina. Sto bene, tutti noi stiamo bene. Al mio arrivo era tutto organizzato, ho trovato i miei amici dell’associazione che hanno pianificato il trasferimento”.
Il tempo scorre con lentezza nella clessidra dell’impazienza di chi vuole approdare in fretta alla normalità: “A volte mi sveglio molto presto e non so cosa fare. La notte soffro di insonnia. Vedo molta televisione e c’è il telefonino per il contatto con l’esterno. Gioco con la playstation e sto nella Woochat, il nostro social preferito, che mi permette di stare in collegamento con i miei amici. Leggo molto. L’associazione pensa a tutto ciò che potrebbe servirmi. Il cibo fresco e le bevande arrivano ogni due giorni, ma per qualsiasi esigenza c’è la solidarietà della comunità. E’ tutto molto noioso, troppo silenzio, mi manca la famiglia. Per fortuna sta per finire”. E davvero speriamo che la Grande Paura finisca presto.