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Chi predica bene razzola male

La nota sui mercati
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19 min di lettura

ECONOMIA: quando il nuovo scoppio?
 “Gli USA sono di fronte ad  una scelta: o raddrizzano il bilancio e restringono la base monetaria al più presto possibile non appena i rischi di deflazione svaniscono; oppure si creano le condizioni per una potenziale impennata dell’inflazione. E anche se la minaccia inflazionistica non si materializzasse c’è un altro potenziale pericolo implicito nell’attuale politica: un aumento esagerato nel finanziamento dell’economia tramite il debito pubbico. Una situazione simile comporta la gestione politica dei capitali e l’indebolimento del processo di “distruzione creativa” nel settore privato in cui la competizione di mercato è essenziale per ottenere un aumento degli standard di vita nel lungo termine. La reputazione di questo paradigma è stata brutalizzata dagli eventi recenti, ed anche se un miglioramento nei regolamenti e nelle supervisioni è necessaria, la chance migliore per la crescita economica mondiale resta quella di basarsi sulle forze del mercato privato per allocare i mezzi di produzione. Sistemi alternativi, come la pianificazione centrale ad opera dei governi, sono stati già tentati ed hanno miseramente fallito (URSS).”
Senti chi parla: Alan Greenspan,  Financial Times, June 26, 2009

Musica per le mie orecchie se non sapessi da quale pulpito viene questo predicozzo. Ed infatti il pulpito non si smentisce scrivendo inoltre che la Fed è conscia del pericolo inflazionistico ma non ha bisogno di muoversi; invertire il corso della politica adesso frenerebbe l’economia e questa è una scelta di tipo politica, la devono fare i politici, e Greenspan non pensa abbiano lo stomaco per fare una cosa simile. Lo avranno solo quando -a ripresa avviata e ad inflazione scappata di mano- tutti chiederanno un intervento in quel senso.
E qui  Greenspan sbaglia, ancora una volta. In realtà infatti si tratta prima ancora che di un problema “politico”, di un problema “economico”, perchè la natura delle bolle creditizie prolungate  ha effetti deleteri sulla sottostante struttura economica. Da “maestro” dell’attivismo monetario, il regno di Greenspan (17 anni) alla Fed si è spinto in acque sconosciute per quanto concerne gli interventi e le manipolazioni sul mercato. Per oltre tre lustri ciò ha attizzato la fiducia dei mercati (e dell’economia in generale) in un astuta gestione monetaria  accoppiata agli  stimoli fiscali capace di assicurare una costante robusta crescita, nel peggiore dei casi interrompibile solo occasionalmente da modeste recessioni e correzioni. La Fed di Greenspan/Bernanke ha sostenuto ad alta voce la disastrosa dottrina che le banche centrali devono ignorare le Bolle, focalizzandosi solo su interventi aggressivi dopo il loro scoppio. Una dottrina i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti, ed oggi Greenspan ha la faccia tosta di fare i predicozzi sopra citati, allo scopo evidente di scaricarsi delle sue responsabilità, affibbiandole ai soli politici. E fa finta di non vedere i dati, qui più volte illustrati, che parlano molto chiaro: è stata la massiccia espansione del sistema creditizio ad inflazionare prezzi, redditi, profitti ed entrate fiscali, ed a generare una trasformazione strutturale dell’economia, deindustrializzandola, rendendola dipendente dalle importazioni e dall’incredibile leva finanziaria e speculativa, per ottenere un iperconsumismo senza prospettive, perchè una volta realizzata una trasformazione del genere, tornare indietro diviene molto difficile e doloroso socialmente. E aggiungo “culturalmente”, perchè una delle cause sottostanti è l’eccessiva finanziarizzazione intesa  come dimensioni iperboliche delle strutture finanziarie negli USA e nel resto del mondo, anche per quanto concerne la crescita  a posizioni di straordinario potere culturale. Non va perso di vista infatti che tutto l’insieme delle persone che per i vari motivi (da quelli operativi a quelli giornalistici) si occupano di questioni economiche e finanziarie , è profondamente influenzato dalle “fonti di dati” e dai giudizi macro e micro, che guarda caso sono in gran maggioranza frutto degli uffici studi e degli analisti delle grandi banche. Le quali quindi hanno anche e soprattutto il potere culturale di influenzare il pensato e il vissuto della società in materia, lanciando i paradigmi e i dibattiti su ciò che vogliono loro, togliendo credibilità con la semplice non presa in considerazione delle scuole di pensiero alternative(basti pensare alla scandalo delle banche centrali, di cui non è concepibile oggi metterne in discussione l’esistenza).

Greenspan sostiene  che il problema sia politico e mette in guardia contro le nazionalizzazioni, senza dire una parola sul fatto che la squilibrata economia americana da lui diretta per 17 anni riesce ad evitare l’implosione sistemica solo grazie a 2 trilioni e passa di eroina creditizia addizionale, anno dopo anno. Nel 2006 – mentre banchieri centrali, istituzioni internazionali e G8 vari si compiacevano e si autolodavano per il “miglior periodo di crescita economica senza inflazione dell’economia mondiale”-  la fragilità sistemica era già acuta ma veniva mascherata da un espansione senza freni del credito ipotecario tramite le varie strutture sofisticate inventate da Wall Street. L’aspetto cruciale era che la Bolla diveniva sempre più vulnerabile ad una crisi di fiducia, mentre non solo le emissioni si moltiplicavano bensì anche la loro qualità diveniva sempre peggiore fino al paradosso di un boom sostenuto dai mutui sub-prime cioè dei più poveri e senza redditi affidabili. In una classica logica alla Ponzi, la Bolla attraeva enormi flussi fnanziari proprio mentre era divenuta estremamente suscettibile ad ogni eventuale inversione del sentiment speculativo. Così la crisi sistemica è stata inevitabile dopo le rivelazioni dei trucchi contabili di Fannie e Freddie su cui si reggeva l’intero mercato ipotecario, essendone loro i compratori di ultima istanza (una vera e propria banca centrale fantasma). Nel 2007 gli speculatori, dopo anni di assuefazione, improvvisamente hanno visto sparire questa fonte primaria di liquidità, ed è iniziato il fuggi-fuggi, con l’Apocalisse finale dopo il fallimento di Lehman, evitata per un pelo a fine 2008, solo perchè è subentrato un altro gigantesco, quanto irrazionale, atto di fiducia. Il popolo si è bevuto la storiella che i governi avrebbero potuto garantire tutto e tutti: depositi bancari, disoccupati, ripresa economica, e chi più ne ha più ne metta. Peccato che i governi  fossero già pieni di debiti e che con questo “salvataggio” si siano condannati all’iperindebitamento ed al fallimento, che non potrà essere ritardato per molto tempo. 

E’ facile fare paralleli tra la precedente Bolla e quella attuale della finanza pubblica globale. Con riferimento ai soli USA, che del resto sono il centro del sistema, la portata del nuovo fabbisogno debitorio addizionale del governo ha raggiunto velocemente quota 2 trilioni annui (il 10% del PiL). Poichè ben poco di questo debito improduttivo sta finanziando creazione di ricchezza economica reale, si ha un rapido deterioramento nella qualità del medesimo che d’altro canto deve essere ogni mese venduto a creditori esteri. Di nuovo vi è una logica alla Ponzi: i creditori esteri ricevono i rimborsi solo se e fino a quando loro stessi sottoscriveranno i nuovi debiti che servono sempre più per ripagare le scadenze precedenti, sono solo i loro soldi che girano. Certo, nel frattempo questa “partita di giro” tiene in piedi il reddito nazionale USA, ma non senza conseguenze inflazionistiche di lungo termine. Più in generale, l’acuta fragilità sistemica attuale è mascherata da un espansione senza freni dei debiti pubblici, e questo è un problema finanziario ed economico, prima che politico.
Una delle sfide nell’analisi delle bolle, per gli osservatori indipendenti come il sottoscritto, è riuscire a stimare quanto possono durare e fino a dove possono arrivare. La bolla tecnologica di inizio millennio arrivò a estremi incredibili prima di scoppiare, lo stesso vale per quella ipotecaria finanziaria, dunque  anche questa potrà sorprendere, ma propendo per  l’idea che alla terza consecutiva il popolo bue sia divenuto un pò più avveduto e dunque lo scoppio può  arrivare prima delle altre volte. L’equivalente ruolo che giocarono Fannie e Freddie nel 2007 oggi  lo hanno le banche centrali estere dei paesi in avanzo commerciale, le uniche che possono comprare l’enorme quantità di debito americano di nuova creazione. Questa settimana, da un lato vi è stato un assorbimento  positivo dei 100 e passa miliardi di asta settimanale; ma dall’altro lato proprio venerdì si sono risentite voci cinesi ricordare che occorre trovare una soluzione al problema di avere una moneta internazionale credibile.
A questo proprosito concludo con un aneddoto venuto fuori dall’esito della recente visita del ministro del tesoro americano in Cina. Parlando in una gremita aula universitaria di Pechino, ad un certo punto ha detto che i soldi cinesi investiti in titoli americani sono “al sicuro”;  nel silenzio generale si è sentita una forte risata da parte di uno studente, che ha in breve trascinato tutto l’auditorio e financo Tim Geithner non ha potuto fare a meno di sorridere. Posso pensare che il nuovo scoppio tarderà a lungo?
MATERIE PRIME: i cinesi speculano
La Cina, mentre si interroga sui suoi crediti in dollari, continua a pompare moneta nel sistema finanziario interno. La Banca del Popolo infatti ritiene che l’economia domestica sia in uno stadio critico e che sia necessaria una politca espansiva; sta di fatto però che l’espansione creditizia viene per ora sfruttata soprattutto per speculare in materie prime che sembra diventato lo sport nazionale, con le aziende locali che stanno accumulando materiali ben oltre le loro necessità produttive nella speranza di poterle rivendere a prezzi più alti in futuro, quando l’inflazione esploderà come nelle previsioni dei più.
Questa settimana comunque l’andamento del comparto è risultato frenato dalla flessione delle borse. Il petrolio continua a non risentire nè dei disordini in Nigeria nè della questione iraniana che si sta complicando e potrebbe anche sorprendere se dalle parole anti occidentali si passerà ai fatti, che per ora si limitano all’esplusione dei britannici.
L’oro sale dello 0,6% (+6,5% da inizio anno), scende l’argento -1%(+25%). Sale il rame +1,7%(+63%),scende il petrolio -1% (+55%) ed  il gas naturale -2% (-27%) ma  il rapporto petrolio-gas scende ancora a 16,8 sulla scadenza agosto.Misti gli agricoli. L’indice generale CRB perde 0,6% (+9,5%).
Si conclude con : petrolio a 69,1(agosto) gas naturale a 4,10(agosto) oro a 940(luglio) argento a 14,1(luglio) platino a 1203 (luglio) palladio a 247(settembre) rame a 229(luglio) soia a 1201(luglio) oro-petrolio a 13,6 petrolio-gas 16,85.
CAMBI: ammoino
I dati macro USA della settimana, sostanzialmente in linea con le attese, non modificano il quadro già noto. Le vendite di case procedono miste (le vecchie un pò meglio, le nuove un pò peggio) mentre i prezzi continuano a scendere. Gli ordini di beni  durevoli sono andati meglio del previsto, la revisione finale del PIL nel primo trimestre è stata fissata a -5,5% su base annua grazie a ritocchi sulle scorte e sul deficit estero, ma i consumi sono stati rivisti al ribasso. E questo resta il tasto dolente del secondo trimestre con i sussidi disocupazionali  oltre quota 600 mila, a sostegno del reddito delle famiglie anche se salari e stipendi scendono, per cui le persone cercano di risparmiare piuttosto che iperconsumare come fatto nel passato, passato che non tornerà mai più. E’ finita un epoca, quella dell’iperconsumismo e i venditori di pubblicità si possono mettere l’anima in pace a cominciare da “papi” che cerca disperatamente di sfruttare la posizione governativa  per favorire il suo ormai meno redditizio duopolio pubblicitario-televisivo.

L’indice del dollaro è sceso di -0,5% concludendo a 79,8 (-2% da inizio anno). Il dollaro ha perso un pò con tutti, tranne che sul canadese. La Cina ha ipotizzato una nuova valuta internazionale e ha proposto che il FMI gestisca riserve in più valute, espandendo il ruolo della sua unità di conto , i Diritti speciali di prelievo. Il dollaro ne ha risentito ma in misura modesta, ed in parte la sua discesa è dovuta al recupero delle borse nel finale. E’stata una settimana di “ammoino” cioè  volatile ma in cui è risultato difficile identificare le motivazioni fondamentali dei vari movimenti, per poi non concludere granchè. Ciò non di meno appare chiaro che diversi mesi di stampa di moneta combinata con un deficit statale fuori controllo pesano sempre di più sul biglietto verde. Il citato annuncio dei cinesi viene dopo che la Fed ha confermato il programma di stampa di nuovi dollari, e pare manifestare insoddisfazione da parte del principale creditore. In realtà la Fed non ha detto niente di particolare, non ha annunciato nessun cambiamento , e perfino il testo del comunicato è risultato quasi identico a quello di aprile, con l’unica eccezione data dall’ammissione che i prezzi delle materie pirme hanno rialzato la testa, frase che sostituisce il “rischio di deflazione” citato in precedenza. Una discussione seria sull’exit strategy è rimandata alle calende greche, e proprio questo probabilmente non è piaciuto dall’altra parte del Pacifico.

 Nei fondamentali EURUSD che è salito del  13% dal minimo di marzo a 1,25 appare anche lui vunerabile, sia a eventuali anglosassonizzazioni della Bce, sia alla debolezza economica  europea, con gli esportatori che vedono come il fumo negli occhi un eventuale apprezzamento ulteriore, ed in questa fase di apparente assenza di inflazione con il petrolio relativamente basso non si vedono benefici da una eventuale simile evoluzione. Tecnicamente, la fascia di resistenza a breve resta tra 1,42 e 1,43 con 1,47 a seguire, il supporto invece è confermato a quota 1,37-1,38 con 1,35 a seguire.

OBBLIGAZIONI: boccata d’ossigeno
 Negli USA  i futures sul tasso a tre mesi scadenza dicembre 2009 quotano 0,90% (-16 cts. rispetto a 7 giorni fa), il libor a tre mesi è    al 0,60%(-1 cts.); i bills a 3 mesi   allo 0,18%(-0 cts.). I rendimenti dei bonds  a 2 anni  a 1,03%(-16 cts.); a 5 anni al 2,51%(-27 cts.); il decennale al 3,53% (-25 cts); a 30 anni al 4,32%(-18 cts.). Scende un pò il differenziale tra 2 e 10 anni   a 250 (-9 cts.), fermo quello  tra 5 e 10 all’1%. L’evento della settimana è stato l’inatteso successo delle aste di nuovi titoli emessi dal tesoro USA : 104 miliardi a 2-5-7 anni che sono stati sottoscritti senza difficoltà dai creditori esteri. Una boccata d’ossigeno che ha provocato le ricoperture di quelli che erano andati “short” proprio in previsione delle aste, e  c’è anche lo zampino della Fed che nel suo comunicato di mercoledì ha confermato la politica di acquisto dei titoli pubblici pur mantenendone fermo l’importo complessivo.Il rendimento del decennale ha così ritracciato la metà dell’ultima gamba al rialzo dal 3% al 4%, per cui  ho preso posizione vendendo il derivato, in coerenza con le mie previsioni di rendimenti al rialzo nel medio termine. Poichè però, nel breve, spasmi vari (tra cui il calo della borsa) in un mercato così drogato  possono provocare discese fino  al 3,25-3% , ho anche comprato il quinquennale in modo da puntare soprattutto sull’irripidimento della curva.
La netta discesa dei rendimenti di questa settimana  non si è  trasmessa ai tassi sui mutui: anzi in lieve rialzo il tasso fisso trentennale (+4 cts.  al 5,42%) fermo il quindicennale(-1 cts. al 4,87) e il tasso variabile ad un anno (-2 cts. al 4,93%). Misti  i differenziali sui bonds aziendali,   in forte calo i rendimenti degli obbligazionari dei paesi emergenti con i bonds brasiliani tornati al 6%  sul decennale, ed in ribasso anche il rendimento del decennale giapponese (1,39).
Scendono ancora in Europa i  tassi euribor in scia all’immissione di lqiuidità orchestrata dalla BCE:  ad un mese  a 0,78% (-16 cts.) a tre mesi a 1,12%(-10 cts.) ad un anno  a 1,51%(-9 cts.). I rendimenti sui bund tedeschi  sul 2 anni scendono a 1,32%(-13 cts.) e  sul decennale flettono a 3,39% (-11 cts.) per cui sale il  differenziale tra 2 e 10 anni a +207 cts. ;  il differenziale con i bonds USA  sul due anni risale lievemente a +29 , mentre  sul decennale si contrae  a +14 cts. ma  a favore del bond americano.

BORSE:  ribasso iniziato
“La chiusura a 921  potrebbe segnalare l’inizio della terza onda al ribasso che si concretizzerà con la perforazione di 904 e il raggiungimento dell’ obiettivo minimo a 876 qui identificato da tempo come un supporto chiave, la cui rottura confermerebbe lo scenario ribassista. Viceversa , la capacità di risalire sopra 936 , darebbe credito all’ipotesi opposta sopracitata e rimanderebbe l’appuntamento con il ribasso, ma fin quando lo sp500 si tiene sotto 936 lo scenario più probabile resta quello del ribasso”.
Così, sette giorni fa.
In realtà l’andamento della settimana non è stato cristallino: all’inizio si era verificata la perforazione di 904 ma la  conseguente caduta non è andata oltre 889; sembrava  che dopo un rimbalzo fosse inevitabile quanto meno il test di 876, invece la riunione Fed e il “processo” a bernanke hanno modificato il normale moto ondoso, provocando varie oscillazioni in un range che si è poi definito tra 922 e 895. Ciò nonostante, comunque, il tutto resta ancora assimilabile in una visione ribassista, in cui la prima onda sarebbe l’intera  caduta  da 956 a 889, mentre il recupero pur non lineare intervenuto da 889 fino a 922 sarebbe la seconda onda. Una conferma  verrà se tiene  area 927- 936 e se si ritorna sotto 889: la terza onda avrebbe un obiettivo minimo a 860-850 il che implicherebbe la rottura del supporto a 876 e quindi un ribasso ben più pronunciato in seguito.
Naturalmente, proprio l’andamento non cristallino di questa settimana e la sovra performance dei tecnologici, rendono ancora possibile uno scenario alternativo, in cui la caduta realizzata  è interpretabile come un ABC correttivo all’interno del trend rialzista iniziato a marzo e ancora in essere: 956-904(A) 904-927(B) 927-889(C). In tal caso il rialzo successivo iniziato questo martedì sarebbe la prima onda di una nuova sequenza tesa a ritestare almeno i recenti massimi di 956; la conferma verrebbe dal sorpasso di area 927-936. 
Propendo per lo scenario ribassista: la caduta da 956 a 889 è stata la più ampia da quando è iniziato il recupero a marzo, 67 punti, e la più lunga , 8 giorni; il rimbalzo da  889 fino a 922 è stato di 33 punti, cioè il 50% dei  67 del declino. Questo tipo di azione è stata tipica all’inizio dei precedenti cicli ribassisti: ad esempio, l’anno scorso il grande ribasso iniziato l’8 maggio da 1440, partì proprio con una prima onda da  67 punti di ribasso seguita da un rimbalzo di 33 punti. Inoltre il DOW ha fatto un minimo inferiore nell’ultima caduta a differenza dello sp500 che si è fermato a 895; questa divergenza può anticipare lo stesso destino del  DOW, che mostra una sequenza a 5 onde ben chiara da 8876 a 8259. Infine vi sono alcuni settori chiave , come quello bancario, che sono già in trend ribassista, così come alcuni indici internazionali (gli europei DAX e FTSE),mentre gli indici asiatici ancora in uptrend presentano numerose divergenze tecniche negative. Anche il quadro intermarket, con i rendimenti e il petrolio al ribasso, l’oro in recupero e il dollaro che potrebbe riprendersi, paiono coerenti con un imminente fase di negatività sui mercati azionari. Volendo esagerare, posso immaginare che la borsa resista  fino a martedì ultimo del mese, e poi da mercoledì primo luglio parta la discesa che riceverebbe la spinta decisiva dai dati occupazionali di giovedì.

Si conclude con Dow a 8438 -1,2% ( -4% da inizio 2009) SP500 a 919 -0,3%(+2%) Nasdaq100 a 1480 +0,6%(+22%)Russell +0,1%(+2,5%) Trasporti +1,3%( -8%) utilities +1,4% (-5%) semiconduttori -0,5% ( +24%) Broker +1%( +28%) Banche -2,4%(-18%).
Il rapporto tra put e call scende a 0,82 e  l’indice della volatilità VIX scende  a 26.
 Il Nikkey giapponese  a 9877 +0,9%(+11,5% da inizio 2009),  il Dax a 4776 -1,5%(-1%)  il cac francese a 3129, il footsie inglese a 4241, ftsemib italia a 18831. Tra gli emergenti: Brasile -0%(+37%) Russia -5% (+52%) India +1,5%(+53%) Cina +1,5%(+61%).

PREVISIONI: BCE + disoccupazione USA
Giovedì prossimo toccherà alla BCE esprimersi dopo il blitz monetario di questa settimana, in cui ha inondato di nuova moneta(440 miliardi) il sistema bancario europeo ritenuto evidentemente traballante checchè si sforzino di dire i vari politici, al fine di tenere buoni e tranquilli i depositanti. La BCE è pressata da più parti perchè faccia ancora di più: l’OCSE ha auspicato tassi a zero come quelli anglosassoni e per tutto il 2010. Ora le aspettative prezzano una probabilità di oltre il 50% di un taglio di 25 cts., mentre fino  a pochi giorni fa prezzavano un rialzo dei tassi. A provocare questo capovolgimento,  la presa di coscienza che la situazione è ben peggiore di quella che appare, tanto è vero che esiste un primo ministro europeo (“papi”) che tra una sua festicciola privata e l’altra è arrivato a dichiarare che occorrerebbe mentire espressamente all’opinione pubblica, perchè ” la crisi è psicologica” e se si sapesse la verità la crisi peggiorerebbe;  come se la gente fosse talmente “fessa” da non vedere quello che la circonda (piuttosto, qualcuna delle tante ragazze o qualcuno dei tanti lobbisti ammessi alla sua corte dovrebbe spiegargli la storiella di “al lupo, al lupo”).
La BCE ha continuato a fare dichiarazioni tese a sottolineare che i tassi d’interesse attuali sono appropriati, ed in particolare il presidente della Bundesbank ha definito “non necessari” ulteriori allentamenti. Naturalmente, non c’è nessuna garanzia che le banche passino i soldi ricevuti dalla BCE all’economia; piuttosto potrebbero scegliere di tenerseli in cassa a protezione dei mille miliardi e oltre di perdite ancora non dichiarate  nei loro portafogli tossici. Dunque, non sarà una riunione di routine quella di giovedì prossimo, e le due anime (la tedesca e l’anglosassone) si scontreranno ancora una volta. L’euro potrebbe risentirne se il mercato si convincesse che la politica adottata impedisce all’Europa di agganciare la ripresa prossima ventura (viene ancora ritenuta imminente, dai più,  per gli USA e per il resto del mondo). Ma nel breve termine l’euro continua ad essere correlato per oltre l’80% all’andamento della propensione al rischio e quindi dei mercati azionari, i quali la prossima settimana si troveranno di fronte un calendario USA intenso,con il gran finale di giovedì (venerdì festivo) allorchè usciranno i dati sulla disoccupazione. Ci sarà quindi un giovedì cruciale, con Trichet che inizierà a parlare mentre escono i dati americani, ma si inzierà da martedì che è l’ultimo giorno del semestre, dove possono quindi esservi fenomeni di “vetrina”, con l’indice di fiducia dei consumatori, atteso in modesto miglioramento a giugno; dopo il recente recupero dal minimo di febbraio appare difficile che possano esserci spazi significativi anche perchè persiste il  deterioramento della situazione occupazionale. Di fronte alla domanda base: il peggio della crisi è passato? l’indice di fiducia suggerirebbe di sì,visto il recupero degli ultimi 3 mesi,  ma poichè finora ciò non si è tradotto in aumento dei consumi, appare essere solo psicologico, senza  effetti sull’economia, e pertanto, modeste variazioni in un senso o nell’altro, non avranno un gran impatto sui mercati. Passando al mondo della produzione, mercoledì primo luglio arriva l’indicatore di fiducia dei manifatturieri: l’ISM, che dovrebbe far luce sul miglioramento della domanda così come percepito dalle imprese, ma anche qui vale quanto sopra menzionato. Mercoledì arriva inoltre la stima ADP delle imprese private sull’occupazione; sommata alla componente occupazionale dell’ISM , servirà a creare aspettative sul dato del giorno dopo (ma spesso poi quest’ultimo non conferma): le attese attuali sono per un ulteriore perdita di 350 mila posti di lavoro, che manterrebbe il ritmo dimezzato rispetto a inizio anno. Il totale dei posti lavoro persi dal dicembre 2007 è comunque arrivato a superare quota 7 milioni, e seppur a maggio una perdita ben inferiore alle attese galvanizzò i mercati, occorre ricordare che questi dati sono sottostimati a causa del modello di calcolo, ed il semplice rallentamento dell’emorraggìa è ben altra cosa rispetto ad una ripresa. Ciò nonostante, anche giovedì prossimo un dato meno peggiore di quanto atteso, nel breve termine spingerebbe al rialzo le borse. Ma, se al contrario arriva una delusione, gli assets rischiosi che restano vulnerabili potrebbero risentirne molto, e si potrebbe vedere l’SP 500 rompere i supporti e il dollaro tornare in auge come rifugio, perchè tale perversa correlazione pare essere ancora in piedi nei momenti critici.

http://michelespallino.blogspot.com/

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