CATANIA- Indagini chiuse su Mario Ciancio, la Procura guidata da Giovanni Salvi ha inviato l’avviso contestando l’accusa di concorso esterno all’associazione mafiosa. Gli inquirenti ipotizzano che Ciancio avrebbe favorito, negli ultimi 30 anni, diversi clan.
Intervistato da Livesicilia, quando il Gip aveva respinto la richiesta di archiviazione inizialmente formulata dalla Procura, Enzo Musco, legale di fiducia di Ciancio, aveva ribadito che “l’indagine passa in rassegna anche fatti degli anni ’80 e si fonda su un’analisi frutto dell’interrogatorio di 7 collaboratori di giustizia, da Siino a Ciancimino: tutti parlano degli affari di Mario Ciancio, ma mai si trova l’esistenza di un contributo dato da Ciancio a una qualsiasi associazione”.
Per il professore Musco “si vede un Ciancio che sa fare gli affari, ma questo è frutto della sua bravura”. Uno dei pilastri dell’inchiesta è rappresentato dalle plusvalenze nella realizzazione del centro commerciale Icom, sorto sui terreni di Mario Ciancio, trasformati da agricoli in edificabili grazie a una variante dell’amministrazione Scapagnini.
Dopo la pubblicazione dell’articolo di Livesicilia, la Procura guidata da Giovanni Salvi ha diffuso un comunicato. “La contestazione si fonda sulla ricostruzione di una serie di vicende -spiega la Procura- che iniziano negli anni ’70 e si protraggono nel tempo fino ad anni recenti; si tratta in particolare della partecipazione ad iniziative imprenditoriali nelle quali risultano coinvolti forti interessi riconducibili all’organizzazione Cosa Nostra, catanese e palermitana”.
SOLDI ALL’ESTERO. “Negli atti -aggiunge la Procura- sono confluiti anche i documenti provenienti dagli accertamenti condotti in collegamento con le Autorità svizzere e che hanno consentito, attraverso un complesso di atti di indagine, di acquisire la certezza dell’esistenza di diversi conti bancari. In quelli per i quali sono state sin qui ottenute le necessarie informazioni sono risultate depositate ingenti somme di denaro (52.695.031), che non erano state dichiarate in occasione di precedenti scudi fiscali; la successiva indicazione da parte dell’indagato della provenienza delle somme, non documentata, ha trovato smentita negli accertamenti condotti”.
L’AFFARE ICOM. Il caso è stato svelato dalla trasmissione Report di Milena Gabanelli. Ciancio era socio del fratello del senatore Vizzini e di Tommaso Mercadante, figlio di Giovanni Mercadante. Pochi anni prima delle varianti che hanno trasformato i terreni di Ciancio in oro, un’imprenditore messinese era stato intercettato mentre assicurava che “Ciancio aveva garantito tutte le autorizzazioni possibili e immaginabili senza pretendere una lira fino all’inizio dei lavori”. Autorizzazioni che col tempo erano arrivate ma, secondo quanto l’avvocato aveva riferito a Livesicilia, la mafia non avrebbe avuto alcun ruolo. “Il cambio di destinazione d’uso- spiegava Enzo Musco- l’ha stabilito il consiglio comunale, Mario Ciancio giustamente ha fiutato l’affare e ha venduto tutto al gruppo Auchan-Rinascente, guadagnando qualcosa come 24-25 milioni di euro, il tutto legittimamente, aveva anche altri soci, ed era proprietario del terreno, sul quale aveva un’opzione a vendere”.
Agli atti del processo a carico di Ciancio c’è anche un’analisi dei furti avvenuti nelle ville dell’editore catanese a cavallo degli ’80. “Secondo Siimo -racconta Musco- i ladri sarebbero stati sistemati da Santapaola, ma sono tutte chiacchiere che non hanno valore”.
Inizialmente la Procura aveva richiesto l’archiviazione, ma durante il processo Lombardo, secondo il Gip Marina Rizza, sarebbero emersi particolari rilevanti. Un vero e proprio “sistema” del quale Ciancio sarebbe parte integrante. Per il gup Rizza il modus operandi, sarebbe stato sempre lo stesso: “Acquistavano terreni agricoli nella prospettiva di ottenerne la variazione di destinazione urbanistica, e poi realizzare elevati guadagni con la plusvalenza della proprieta’”. Il Giudice cita l’esempio di quattro casi: il piano di costruzione di alloggi per militari Usa di contrada Xirumi, mai venuto alla luce, e tre centri commerciali, uno dei quali è stato effettivamente realizzato. “Il modus operandi e la presenza di elementi vicini alla mafia -scrive il Gup- fanno ritenere con un elevato coefficiente di probabilita’ che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio”. L’editore, “attraverso i contatti con Cosa nostra di Palermo -secondo la sentenza- avrebbe quindi apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla ‘famiglia’ catanese.
Non è detta però l’ultima parla sul caso Ciancio. L’editore sta preparando un’accurata memoria, coinvolgento anche un noto avvocato, vuole ribadire con forza la propria innocenza, ripercorrendo ogni fatto contestato dall’accusa.
La Procura non ha ancora formulato la richiesta di rinvio a giudizio per Ciancio, ma depositando l’avviso di conclusione indagini, lascia intendere che è pronta a sostenere l’accusa in dibattimento.
La replica. “Sorpresa e stupore”. È con questo stato d’animo che è stata accolta dal direttore del quotidiano La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo, la notizia della chiusura da parte della Procura della Repubblica di Catania delle indagini che lo riguardano, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e in collegamento ad una iniziativa immobiliare e commerciale e all’esistenza di fondi all’estero. “Sorpresa e stupore – spiega l’avvocato Carmelo Peluso – perché è del tutto evidente la stranezza di un mutamento di opinione da parte della Procura, che non ha aggiunto elementi tali da poter spiegare una inversione a 180 gradi della posizione del dott. Ciancio, rispetto alla precedente richiesta di archiviazione. Adesso – conclude il penalista – serve del tempo per esaminare con attenzione e valutare gli atti forniti dalla Procura, rispetto ai quali il dott. Ciancio conferma la sua totale estraneità ad ogni fatto contestato”.