Ciao Raffaella Carrà, appena appresa la notizia della tua morte, ci è venuto da ribattere al destino: “Ma cosa mi dici mai”, come il Topo Gigio delicato e sognante nella foto che abbiamo scelto per raffigurare il tuo addio. Un seduttore-poeta questo Topo Gigio se ti aveva conquistato, con i suoi occhi cerulei, il baffetto gagliardo e l’inciampo studiato per mettere tenerezza. E noi, bambini di quella televisione in bianco e nero, lo invidiavamo da pazzi, perché, appunto, eravamo pazzi di te. Era un amore casto, da corteggiatori innocenti. Era l’amore dei bambini che si affacciano alla finestra e vedono passare il fiume del loro stesso stupore.
Una foto, la prescelta, che dice tutte le nostre parole. C’è il topo-poeta. C’è la luna che è l’elemento suggestivo della notte, quando nascono i sogni. E ci sei tu, leggera e radiosa, nel ricordo che sempre avremo di te. Ma già, che strano. Era appena ieri che ci accalcavamo davanti al televisore, per via dell’innamoramento che sai, e siamo già ai ricordi. E tutta la vita in mezzo che cosa è stata? Forse un sogno, con una luna di cartone. Forse Topo Gigio era il nostro vero amico, per sempre. E ha camminato accanto a noi, con la discrezione di chi, non visto, protegge i bambini che crescono, non permettendo che si smarriscano. Ma com’è brutto confessarti che la vita è già un ricordo.
Ciao Raffaella, la tua era un’Italia in bianco e nero, pure dopo l’avvento del colore. Perché in bianco e nero erano gli schemi che proponeva. Una cosa era giusta o sbagliata. Era semplice o complicata. Era a colori o in bianco e nero. Era Calimero o il suo guscio. Non c’erano scorciatoie. Per arrivare in prima serata, bisognava avere i numeri. Numeri veri. Numeri concreti. Non bastava scrivere un post sui social dai millanta like. Non bastava militare nella contemporanea divisione corazzata degli influencer.
Ciao Raffaella. Era un tempo in bianco e nero, elegante e, forse, meno feroce che se ne va con te. C’erano, pure, cose di pessimo gusto, ma, forse, si respirava meglio. C’erano Corrado, Mike, il tuca tuca, Alberto Sordi, quei sabati sera incollati alla tv, le domeniche dai nonni, il pallone disegnato con i rombi, Paolo Valenti, a mille ce n’è, com’è bello far l’amore da Triste in giù…. E il profumo della pasta in cucina, nell’epicentro di una riunione familiare. E c’era nella collezione di ogni mangiadischi un tuo 45 giri che metteva d’accordo. Renzo Arbore ha tratteggiato un’epoca con la sua arguzia: “Piaceva moltissimo ai bambini, alle nonne…”.
“Raffaella ci ha lasciati. E’ andata in un mondo migliore, dove la sua umanità, la sua inconfondibile risata e il suo straordinario talento risplenderanno per sempre”. Così ha detto Sergio Japino. E sono le parole di tutti noi. Noi che viviamo sotto la luna di cartone e vediamo passare la vita. Noi cresciuti, innamorati, nostalgici, sconfitti, vincitori, con le nostre rincorse su scale luminose prima di una porta amica. In fondo, bambini come allora.