Ciclisti e pedoni contro | Palermo, l'eterna sfida - Live Sicilia

Ciclisti e pedoni contro | Palermo, l’eterna sfida

Quando esci di casa la mattina, non importa chi tu sia. L'essenziale è stare attenti...

Manovra a Tinaglia
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Quando i miei figli erano ancora piccoli, sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il fatidico momento in cui si sarebbe posto l’argomento “motorino”. Non penso di esagerare. Credo che sia il momento, in assoluto, più temuto dai genitori. Comunque, arrivai preparato all’appuntamento con la questione, consapevole della inevitabilità della resa. Nella vita ci sono partite che non si possono giocare e, quella con i figli che vogliono il motorino, è una partita persa in partenza.

Il mio fu subito un sì. Carico di angosce e di paure, ma fu un sì. Saltai pure la fase della consuete raccomandazioni. Mi limitai a trasmettere, nella vana speranza che venisse recepito, il solo insegnamento che mi si era radicato nella mia lunga carriera di centauro che aveva attraversato tutte le fasi che vanno dal “Ciao”, al Vespino 50, poi al Vespone 125, e infine allo scooterone. “Ogni volta che vi mettete in sella al motorino, dovete guardare ogni singolo automobilista, come se fosse un potenziale killer che ha deciso di prendere l’auto, in quello stesso giorno, al solo scopo di arrotarvi. Quindi, regolatevi”. Dicevo esattamente così. Per rafforzare il concetto e rendere l’idea, prendevo come esempio immagini di film tipo Platoon o Apcalypse Now, dove si vedevano soldati americani che procedevano guardinghi nella giungla sapendo che dietro ogni albero o cespuglio si poteva annidare un vietcong pronto a colpirli. Si, lo so. Un messaggio terrorizzante, forse anche nevrotico, ma era il solo di cui disponevo.

Anche oggi – io mi sposto prevalentemente in bici – ho lo stesso identico approccio alla mobilità su due ruote. Naturalmente non sono così ingenuo da ritenere che questo mi ponga al riparo dalle innumerevoli insidie. Tempo fa, per esempio, venni tamponato da un tizia. Guardate, io non mi ero fermato e non avevo neppure rallentato l’andatura.. Questa mi venne praticamente addosso come se non ci fossi, ed io planai sull’asfalto, fortunatamente senza conseguenze. “Eccolo il mio vietcong” mi dissi. Ero pronto a snocciolarle tutto il mio repertorio, ma lei mi neutralizzò scusandosi dell’accaduto, e dicendo che si era distratta. “Allora non c’è problema, ora che so che non l’ha fatto di proposito, mi sento più tranquillo”, le dissi, mentre cercavo di raddrizzare il manubrio.

Insomma, per farvela breve, ho sempre ben presenti le insidie della strada, quale che sia il mezzo al quale affido la mia mobilità, con la doverosa precisazione che, quando uso la macchina, considero gli utenti delle due ruote come persone proditoriamente protese a “consumare” i padri di famiglia. Anche da pedone, sia chiaro. In quel caso ricorro alla metafora del bowling, convinto come sono che gli automobilisti mi considerino niente più che un birillo da centrare (perché, in fondo, ad un birillo somiglio, no?).

E la cosa non​ cambia quando mi ritrovo ad essere un pedone nelle tante isole della città. Si, proprio le isole pedonali. Quelle dove uno finalmente si ritiene libero di ciondolare a destra e a sinistra, di distrarsi, di camminare con gli occhi appiccicati sullo smartphone, sapendo che il solo rischio che può correre è quello di schiantarsi in un palo, di inciampare, o di pestare i piedi a qualche altro pedone. Anche in questi rassicuranti contesti ho deciso di decuplicare le mie regole di prudenza. Infatti mi ha preso una fottuta paura di essere arrotato da quelle orde di ciclisti (dai, non offendetevi, anch’io, spesso, ne ho fatto parte) che, soprattutto nei weekend, si divertono a scorrazzare nelle affollate vie con le loro biciclette. Professionisti liberi dalla cravatta, amatori con le tute in lycra, allegri e colorati gruppi familiari, ragazzini che si divertono a fare slalom.

Chissà per quale motivo, ma impazziscono per le isole pedonali, si sentono finalmente al sicuro dalle insidie stradali, alternativi, ecologici ed anche vagamente fighi. A loro non passa per la mente che tu, pedone, possa lasciarti prendere dalla irragionevole suggestione che, lì, in quelle zone (cavolo!, si chiamano isole pedonali), puoi abbandonare ogni cautela o solo abbassare la soglia dell’attenzione, invadendo, per esempio, la pista ciclabile, la loro autostrada, senza neppure guardare lo specchietto retrovisore, dispositivo di sicurezza di cui, si sa, i pedoni sono (o dovrebbero essere) abitualmente dotati. Procedono imperterriti ed a loro agio in questa orgia ecologica.

L’altro giorno, stavo per essere arrotato in zona Massimo. Ma avrei dovuto essere più attento, come mi fece notare amabilmente il ciclista. Avevo “scartato” a destra, ed improvvisamente. Nulla da obiettare, tutto vero, non avevo azionato la freccia. Ma se per le nostre autorità cittadine va bene così, se va bene che ci sia questa gioiosa, allegra, promiscuità, perché, in fondo, una bici non può certo ammazzarti, ma solo lacerarti un polpaccio o fratturarti un femore, non c’è problema. Io mi sono già adeguato, e nelle isole pedonali non temo i vietcong e neppure lo strike. Devo solo stare attento al fuoco amico.


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