Si sta assistendo, in un preoccupante silenzio, a quella che gli esperti definiscono la frammentazione geoeconomica, a dispetto di quanto proclamato e sbandierato in passato rispetto all’azzeramento di frontiere e costi.
Al di là dei danni provocati, sin dal 2020, dalla Brexit – in particolare per il Regno Unito, avendone frenato il commercio, ridotta l’offerta di lavoro, allentato significativamente l’interscambio con l’UE, inibendo il potenziale di crescita a lungo termine del paese -, la generale situazione geopolitica influisce negativamente sul futuro dell’economia.
Le parole di Panetta
Come ha dichiarato il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta il 23 aprile, “le dispute geopolitiche, e ancor di più il dramma della guerra, hanno implicazioni che oltrepassano i confini dei paesi coinvolti, generano rischi economici e ostacolano gli scambi internazionali di beni e servizi, fino a provocare una frammentazione dell’economia mondiale tra blocchi contrapposti di Paesi”.
Secondo Panetta “la UE dovrà rafforzare la domanda interna e valorizzare il mercato unico”; necessari investimenti coordinati e finanziati. Ma cosa sta succedendo a livello globale? Dopo decenni di crescente integrazione economica, il mondo intero sta affrontando il rischio di una breccia nel sistema commerciale e monetario internazionale.
Scetticismo sulla globalizzazione
Una serie di sviluppi recenti, a partire, come detto, dalla Brexit, la diffusa crisi finanziaria, le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, la pandemia COVID-19, la guerra russo-ucraina, il conflitto israelo-palestinese, hanno messo ulteriormente alla prova le relazioni internazionali e aumentato lo scetticismo sui benefici della globalizzazione.
Un dettagliato report (Aiyar, Gourinchas, Presbitero, Ruta, 2023, “Geoeconomic fragmentation: A new eBook”), getta un grido di allarme su come il mondo rischi una frammentazione geoeconomica guidata dalle scelte politiche. I relativi costi economici sono difficilmente quantificabili, ma sono elevati, e, soprattutto, sono in aumento.
La frammentazione commerciale
A seconda delle ipotesi di modelling (la “modellizzazione” è una costruzione teoretica che rappresenta un processo economico), il costo della frammentazione commerciale per la produzione mondiale potrebbe variare dallo 0,2% fino al 7% del PIL.
I dati indicano che da gennaio 2023 sono stati registrati 1.340 nuovi interventi di politica industriale, in varie forme di sussidi attuati dalle economie del G20. Ancora più preoccupante è il fatto che tutti i “segnali politici” – politica commerciale, politica industriale, politica di sicurezza – puntano verso la
frammentazione, pur se non voluta i singoli stati.
Le soluzioni da trovare
È necessario trovare soluzioni ai problemi di fondo. L’analisi condotta dai ricercatori ha un ruolo cruciale nel concettualizzare la nuova minaccia e nel suggerire politiche per promuovere la cooperazione multilaterale scongiurando l’escalation della frammentazione geoeconomica.
Ma, alla fine dei conti, ed è proprio il caso di dirlo, gli interventi fondamentali sono demandati alle istituzioni politiche e governative.
Frammentazione ed economia globale
Alle medesime conclusioni è giunto un altro studio, che mette direttamente in relazione la
frammentazione con l’economia globale (Aiyar, Ilyina, 2023, “Geoeconomic Fragmentation and
the World Economy”).
Lo studio rivela come alcune delle perdite stimate, causate dalla frammentazione del commercio, potrebbero essere moltiplicate se si considerano le riduzioni dei flussi di lavoro e di capitale e il deterioramento della fornitura di beni pubblici globali.
Le nuove sfide
Il cambiamento più significativo degli ultimi tempi è stato il crescente attivismo sul fronte delle politiche commerciali, industriali e climatiche. Questo attivismo è giustificato in alcuni casi, ma pone anche molte sfide, in quanto genera forti ricadute negative, pur se non programmate.
Il recentissimo studio “How geopolitics is changing trade” (Costanza Bosone Ernest Dautović Michael Fidora Giovanni Stamato, 2024) evidenzia ad esempio che, dopo la guerra tariffaria tra Stati Uniti e Cina e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si è registrato un aumento delle restrizioni commerciali.
Le tensioni geopolitiche
Le tensioni geopolitiche hanno avuto, dal 2018, un impatto sui flussi commerciali, aumentati tra Paesi allineati, diminuiti tra nazioni rivali. Il commercio globale non è più guidato solo da strategie orientate al profitto: l’allineamento geopolitico è ora una forza influente.
Il sistema internazionale sta mostrando le sue crepe anche in campo economico: le nuove forze che influenzano il commercio globale non sono più guidate solo da strategie orientate al profitto, ma anche da alleanze, sia visibili che sotterranee.
I confini sono destinati a moltiplicarsi. Come è noto, le frontiere esistono nella storia da millenni, e da millenni provocano guerre. Eppure non sempre hanno connotazione naturale, o umana: sono i popoli a cambiare atteggiamento nei loro confronti.
L’immutabilità delle frontiere
L’immutabilità delle frontiere è un mito negativo, e in loro nome si ritorna ciclicamente a parlare di difesa dagli invasori, o si costruiscono nuovi muri. E mentre nel quadro storico e politico dei conflitti di frontiera si disegnano nuove guerre, con antiche radici, vanno enucleandosi ed emergeranno presto le guerre legate ai nuovi spazi di conquista aperti dalla tecnologia.
Coltivare una visione radicalmente diversa, che tenga conto, al di là del fisso disegno delle carte geografiche, dei rapidi cambiamenti della Terra e delle sue popolazioni, è diventato indispensabile. La
frammentazione, oltre ai costi economici fin qui descritti, favorisce il caos e accresce le tensioni.
Tocca all’uomo individuare una nuova frontiera, un diverso percorso di crescita per veicolare, oltre che merci e capitali, le persone e il loro patrimonio di conoscenza, per diffondere beni più preziosi dell’oro: libertà e diritti umani.