PALERMO – Due giorni dopo Ferragosto. Le porte di alcune carceri in giro per l’Italia si aprono. E si fa festa nei rioni popolari di Palermo. Arriva il fine pena anticipato per alcuni pezzi grossi della mafia palermitana. Sei boss condannati a pene definitive nel processo Gotha tornano ad essere uomini liberi. Hanno pagato un conto meno salato con la giustizia.
Tutto merito dell’intuizione dei loro avvocati che hanno fatto ricorso in Cassazione bollando come illegittimo il calcolo della pena inflitta sulla basa dell’applicazione della recidiva. La Suprema Corte, nei mesi scorsi, ha rispedito il processo in appello per la sola rideterminazione, al ribasso, della pena. Detto, fatto. E così, tra nuovi conteggi e fine pena anticipati, sono stati scarcerati Salvatore Gioeli, Nunzio Milano, Settimo Mineo, Rosario Inzerillo, Emanuele Lipari e Gaetano Badagliacca. Sono stati tutti condannati a pene definitive superiori ai dieci anni. Stessa sorte toccherà, a breve, ad altri imputati del processo Gotha, ma anche di altri dibattimenti visto il principio sancito dalla Cassazione che potrebbe avere ripercussioni a cascata.
“Monitoriamo con attenzione la situazione – spiega il procuratore aggiunto Leonardo Agueci, che coordina le indagini antimafia su una grossa fetta della città -. Le scarcerazioni, anticipate seppure previste come in questi casi, possono provocare ripercussioni negli equilibri interni a Cosa nostra”. D’altra parte, in passato, non sono mancati gli esempi di boss che, una volta liberi, sono tornati a delinquere.
Tutto è iniziato con il ricorso di Salvatore Gioeli condannato nel 2010 a 15 anni di carcere per associazione mafiosa nel processo che si basava sulle intercettazioni registrate nel box di lamiera trasformato in centrale operativa dal padrino di Pagliarelli Nino Rotolo che, fingendosi malato, aveva ottenuto gli arresti domiciliari nella sua villa. La pena definitiva era il risultato dei dieci anni inflittigli più cinque per la recidiva. Un calcolo contestato dagli avvocati Valentina e Marco Clementi secondo cui, la recidiva non poteva comportare un ulteriore aumento di pena visto che erano già state contestate altre circostanze più gravi della recidiva stessa.
I legali avevano citato una sentenza della stessa Cassazione pronunciata nell’ambito di uno dei tanti tronconi in cui si è smembrato, negli anni, il processo Gotha. La sentenza sanciva che “la recidiva è circostanza ad effetto speciale quando comporta un aumento di pena superiore ad un terzo e, pertanto, soggiace, in caso di concorso di circostanze aggravanti dello stesso tipo, alla regola dell’applicazione della pena prevista per la circostanza più grave”. Linguaggio giuridico che, tradotto in soldoni, significa niente recidiva e pena meno pesante da scontare come richiesto dagli avvocati Valentina e Marco Clementi. Uno sconto di pena che va associato ai giorni di liberazione anticipata che spettano a ciascun detenuto in base alla buona condotta carceraria. E così sono arrivate le scarcerazioni anche degli imputati difesi dagli avvocati Giovanni Castronovo, Nino Caleca, Jimmy D’Azzò, Michele Giovinco, Giovanni Restivo, Ninni Reina, Nino Rubino e Rosario Sansone.
Conti alla mano i sei imputati hanno potuto lasciare il carcere in anticipo. In alcuni casi quasi tre anni prima del previsto. Il più “fortunato”, Milano con oltre 560 giorni di carcere in meno. Sono tutti uomini di spicco della Cosa nostra che ha vissuto gli anni della guerra fra Nino Rotolo e Salvatore Lo Piccolo per il controllo di gran parte della città. L’inchiesta Gotha azzererò alcuni tra i mandamenti più potenti della città e costrinse la mafia a riorganizzarsi. Una mafia che, dopo gli arresti del giugno 2006, non sarebbe stata più la stessa. Era già stato arrestato, tre mesi prima, Provenzano, allora toccava a Rotolo e ad altri pezzi grossi, ben presto in manette sarebbero finiti i Lo Piccolo..
Nunzio Milano, 64 anni, figlio di Nicola, detto u Ricciu – storico boss di Porta Nuova – prima di Gotha era già stato condannato nel primo maxi processo a Cosa Nostra. Poi, la sua figura emerse con prepotenza tra coloro che si erano messi a disposizione di Rotolo per ridisegnare lo scacchiere dei clan. Su Milano, padre di Nicola di recente arrestato con l’accusa di essere il reggente di Porta Nuova, né il capomafia né Gianni Nicchi, che del padrino era il figlioccio prediletto, ebbero esitazione: doveva essere lui il punto di riferimento a Porta Nuova, zona ricca di negozianti da mungere con il pizzo.
Altro riferimento di Rotolo a Porta Nuova è stato per anni Salvatore Gioeli, 47 anni. Dopo l’arresto di Nicola Ingarao, il reggente del mandamento che sarebbe stato crivellato di colpi qualche anno dopo, Mussolini, questo è il soprannome di Gioeli, aveva fatto carriera. Emanuele Lipari, classe 1961, è stato un altro personaggio di spessore a Porta nuova tanto da potersi “permettere” il lusso di dissentire dalla scelta di Rotolo di piazzare Ingarao a capo del mandamento scalzando gli anziani della zona. Anziano è Settimo Mineo, 75 anni, affiliato al mandamento di Pagliarelli e fedelissimo di Rotolo che negli anni Ottanta, in piena guerra di mafia, gli salvò la vita. Di Rotolo Mineo è stato l’ambasciatore nei rapporti con le altre famiglie mafiose: Corso dei Mille, Bolognetta e Partanna Mondello. Era l’uomo degli affari e del controllo degli appalti illeciti. Ad Altarello di Baida viveva, invece, Rosario Inzerillo, classe ’41. Agiva, in particolare nella zona di Madonna di tutto il mondo. Lo sconto di pena per la mancata contestazione della recidiva riguarda, infine, anche Gaetano Badagliacca, 68 anni, nome storico fra gli uomini d’onore del quartiere Rocca-Mezzomonreale. Uno che mise a disposizione di Ingarao, e dunque di Rotolo, tutte le sue conoscenze per accreditarlo come nuovo reggente del mandamento di Porta Nuova.
Da alcuni giorni sono tornati ad assere uomini liberi. Hanno saldato il loro conto con la giustizia prima del previsto. Le porte delle carceri si sono aperte e si è fatto festa nei rioni popolari. Adesso è ipotizzabile che anche altri detenuti presentino analogo ricorso. La vicenda di Gioeli, però, si può replicare solo ed esclusivamente quando all’imputato, oltre alla recidiva, siano state contestate altre due aggravanti. Nel caso di Gioeli, erano l’utilizzo di armi e il riciclaggio di denaro sporco.