ROMA– La Corte costituzionale ha accolto il ricorso del Presidente della Repubblica sul conflitto con la Procura di Palermo: dichiarando che non spettava alla Procura di di valutare la rilevanza delle intercettazioni né di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271 del codice di procedura penale.
“La Corte costituzionale – informa la Consulta – in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, 3° comma, c.p.p. e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti”.
“Non credo che si debbano fare commenti allo stato. Aspettiamo di leggere il provvedimento”. Lo ha detto il procuratore di Palermo Francesco Messineo, che non ha voluto fare dichiarazioni sulla decisione della Corte Costituzionale di accogliere il ricorso del presidente della Repubblica sul conflitto di attribuzioni con la Procura di Palermo. Messineo, questa mattina, ha partecipato all’udienza in cui si è discusso il ricorso.
La decisione della Consulta sul conflitto Quirinale-Procura Palermo comporta che le intercettazioni che hanno captato il capo dello Stato vengano distrutte.
LA CRONACA DELLA GIORNATA
L’udienza
Si è aperta in Corte Costituzionale l’udienza sul conflitto d’attribuzione sollevato dal Capo dello Stato nei confronti della Procura di Palermo. La Consulta è chiamata a decidere sul nodo delle intercettazioni indirette di alcune conversazioni telefoniche di Giorgio Napolitano con l’ex ministro Nicola Mancino, le sui utenze erano state messe sotto controllo su mandato dei pm palermitani che indagano sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.In udienza è presente anche il procuratore capo di Palermo Messineo.
“Sono qui perché credo sia un momento interessante: ma non faccio nessuna previsione né parlo di stati d’animo”. Lo ha detto il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo rispondendo ai giornalisti poco prima dell’inizio dell’udienza in Consulta sul conflitto d’attribuzione tra il Capo dello Stato e la Procura palermitana. “Non ho mai visto un’udienza di fronte alla Consulta – ha aggiunto – e mi interessava assistervi.
Ad illustrare la vicenda di fronte alla Corte sono i giudici relatori, Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo: il primo ha illustrato la posizione espressa nel ricorso predisposto dall’Avvocatura generale dello Stato per conto del Quirinale, e il secondo la posizione della Procura, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso. Gli avvocati delle parti sono l’Avvocato generale dello Stato Giuseppe Dipace e i colleghi Antonio Palatiello e Gabriella Palmieri per il Presidente della Repubblica; e gli avvocati Alessandro Pace, Mario Serio e Giovanni Serges per la Procura di Palermo.
Udienza conclusa
Si è chiusa all’una l’udienza pubblica in Corte Costituzionale sul conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente della Repubblica nei confronti della Procura di Palermo. Iniziata alle 11.20, l’udienza è durata un’ora e quaranta.
I legali della Procura
“Una possibile soluzione lineare” del nodo intercettazioni sotteso al conflitto d’attribuzione tra il Presidente e la Procura di Palermo “potrebbe essere la richiesta dell’apposizione del segreto di stato da parte del Presidente della repubblica al Presidente del consiglio”. Lo ha detto in chiusura d’udienza l’avvocato Alessandro Pace che rappresenta la procura di Palermo.
“Guardando alla legge – ha detto Pace – si può arrivare a questo previa valutazione assieme al Presidente del Consiglio dell’importanza dei contenuti delle conversazioni che potrebbero essere propalati. E’ successo in Gran Bretagna, dove il l’attorney general ha vietato la pubblicazione di una serie di lettere del principe di Galles che avrebbero messo a rischio il Regno Unito”. In premessa Pace ha affermato di voler dedicare la chiusa del suo intervento a una “parte propositiva” e ha indicato alcune possibili vie di soluzione diametralmente opposte rispetto a quelle prospettate dall’Avvocatura dello Stato. Per esempio ha prospettato la tesi che in base all’art 114 del codice di procedura penale “il Gip prescriva di mantenere il segreto su eventuali intercettazioni accidentali: ma questo, in questa sede, non lo si può stabilire – ha aggiunto – perché il Gip non è parte nel conflitto”. Poi ha suggerito la strada della richiesta di apposizione del segreto di Stato. “Per la primazia che il Capo dello Stato ha anche nel nostro immaginario – ha detto – non può rivolgersi al ministro della Giustizia per chiedere l’apposizione, ma al Presidente del Consiglio: nessuno meglio di lui può valutare”.
I legali del Presidente
“La Procura di Palermo ha trattato queste intercettazioni come normali intercettazioni, non ha tenuto presente il fatto che siano intercettazioni illegittime”, perché riguardano il Capo dello Stato e vietate dall’art. 90 della Costituzione e dalla legge collegata 219/1989. Lo ha sottolineato l’avvocato dello Stato Michele Dipace nell’udienza in Consulta sul conflitto Napolitano-pm di Palermo. E la collega Gabriella Palmieri ha sottolineato che per questa via si è “prodotto un vulnus nella riservatezza del Presidente”. Sia Dipace che Palmieri hanno ricordato che, a loro giudizio, la procedura individuata dai magistrati di Palermo per le intercettazioni indirette che hanno coinvolto Giorgio Napolitano, ossia l’udienza stralcio di fronte al gip e alla presenza delle parti, “esponeva al rischio che quelle comunicazioni fossero rese pubbliche” violando “il principio della loro riservatezza”. Secondo l’avvocatura generale la strada per la distruzione delle registrazioni è indicata dall’art. 217 del codice di procedura penale sulle intercettazioni vietate, in base al quale “il giudice decide senza contraddittorio”, – hanno osservato i legati del Colle – con “l’obbligo che la loro distruzione debba avvenire senza possibile divulgazione” dei contenuti.
Il conflitto è stato “un passo obbligato” e “tuttora la situazione non è mutata e persiste l’omissione della richiesta al gip di distruzione delle intercettazioni”. Lo ha rilevato l’avvocato generale dello Stato Michele Giuseppe Dipace illustrando il motivo dei ricorso del Capo dello Stato nei confronti della Procura di Palermo nel corso dell’udienza in Consulta.