La storia di Fia – morto su un marciapiede a Palermo in una notte che aveva scelto libera e dunque rischiosa – ha coinvolto tutti sul piano emotivo. Ora converrà mantenere il sentimento che ha suscitato, passando alla riflessione. Tutte le buone inclinazioni trapassano e diventano l’affare di un minuto se non ne capiamo l’insegnamento.
La morte di Fia ci ha insegnato che il web è un luogo di molte facce. Esprime vicinanza, ma anche distanza. In tanti, commentando l’articolo a riguardo di Livesicilia, hanno messo a nudo una sensibilità preziosa, di chi, per conoscenza diretta o per contatto indiretto, si era già posto il problema delle persone che dormono di notte per strada, di chi aveva avuto a che fare con Fia e lo considerava un tesoro inestimabile, per cui adesso appare irreparabile il conto complessivo della perdita.
Nella parte migliore del lutto si sono fuse due nobiltà: il dolore per la morte di un uomo, col suo carico di significati generici, con la capacità di immedesimarsi un po’ nell’altro, il dolore per la morte di quell’uomo, calato sulle spalle dei passeggeri non transitori a caccia di respiri da sollevare per le vie della sera palermitana.
Accanto alla consistenza verace si è sviluppata l’ipocrisia un salotto social. Andava di moda compiangere Fia, cliccare un ‘mi piace’, mostrare faccine rigate di lacrime. Andava di moda come va di moda partecipare a una festa o a un funerale, quando ciò che conta è l’evento nella sua forma pubblica, non il suo variabile contenuto. Vale il funeral party che ci permette di essere riconosciuti, riconoscibili e, in definitiva, sazia il nostro bisogno di fama virtuale. E sull’aspetto dovremmo riflettere più di un attimo per comprendere come la rete possa diventare un veicolo di mobilitazioni reali, ma anche di cattiverie anonime (come accade con Bersani) e di adesioni concesse per puro spirito di presenzialismo, per non rimanere esclusi dall’aristocrazia della solidarietà.
Tuttavia, la morte di un uomo che aveva scelto la sua vita così e che non può essere considerato una vittima del sistema in senso classico, ci offre, nella sua tragicità, una gigantesca buona notizia. Palermo non è morta se riesce ancora ad abbandonare la poltrona del soggiorno, per proiettarsi corpo e anima nella biografia di Fia e dei suoi cani. Palermo non è morta, purché impari a usare le sue risorse al meglio. Conservando la sua energia pulita, gettando via le scorie, la sua millenaria vocazione al deserto.