Covid: "Dolore per il gesto estremo del mio compagno di stanza"

“Dolore per il gesto estremo del mio compagno di stanza”

La testimonianza drammatica dal reparto Covid. Il ricovero e il gesto estremo.
LA TRAGEDIA DEL 'CERVELLO'
di
3 min di lettura

PALERMO- “Ero finito in una buca e mi hanno tirato fuori. Non sono vaccinato, ma non sono nemmeno un no vax, io mi definisco un ‘ritardo-vax’. Sono un imprenditore, ho moltissime cose da fare, con l’agenda piena, e mi ero anche prenotato. Il Covid è arrivato prima, purtroppo…”.

Dell’imprenditore, A.C., cinquantatreenne del Nord che si è sposato a Palermo e, per amore, ha compiuto il percorso inverso delle migrazioni, ha la sostanza e il piglio telefonico. Il tempo non va sprecato. Frasi secche e concise che, però, compongono un universo cromatico parallelo di emozioni forti. E quando la densità del vocabolario inciampa un uno slargo, si rimane colpiti dalla vividezza del sentimento. E poi c’è una tragedia da affrontare.

“Ho sentito malessere – racconta A.C. -, all’inizio come un raffreddore. In macchina sono un forzato dell’aria condizionata, l’avevo attribuito a quello, non al Covid. Inizia la trafila, il tampone conferma che sono positivo. Tento di stare a casa e di risolverla così. Ecco il mio errore, non percepisco che sto cadendo in una buca”.

L’impatto è devastante, con il suo corredo di cose terribili. Il pronto soccorso. L’Unità di terapia intensiva respiratoria dell’ospedale ‘Cervello. “Qui – prosegue il racconto – ho avuto la fortuna di incontrare il dottore Giuseppe Arcoleo e la sua squadra, gente straordinaria che fa i miracoli. Mi mettono la maschera, capisco che devo collaborare, anche se è pesante. O collabori, oppure… Avevo una polmonite tra il trenta e il cinquanta per cento ed è successa una cosa per me strana, ho lasciato il tempo fuori”.

Uno slargo, appunto, una novità per un imprenditore abituato a farci i conti, a muso duro, con il tempo, a farci a botte. Invece, la malattia corrobora una sospensione della fretta, in un mondo fluttuante di respiri faticosi, occhi che implorano, destini che si compiono un un modo o nell’altro. “Poi il dottore Arcoleo è arrivato e mi ha detto: ecco, sei uscito dalla buca”.

In ospedale A.C. è stato compagno di stanza dell’uomo che si è tolto la vita. “Ne parlo poco – spiega – perché questo fatto mi ha colpito, quando lui è morto era la prima notte di ritorno a casa per me, dopo il ricovero. Dovevo uscire la sera prima. Lui mi ha chiesto: ‘Resta un’altra notte con me, per piacere’. Sono rimasto, pure perché non è semplice passare da un mondo all’altro. Ci eravamo dati appuntamento fuori dal reparto, per una cena. Sono i piccoli trucchi della sopravvivenza che ti servono, quando stai male, quando sei in ospedale. Ripeto: sono molto addolorato”.

A.C. tornerà in ospedale come volontario, è il suo desiderio. Quell’universo senza tempo gli è entrato sotto la pelle e non andrà più via. “Sa cosa mi fa arrabbiare? – conclude – che il personale sanitario, in un reparto del genere, è pagato con due noccioline. Lo dico da imprenditore che ha presente quanto sia importante valorizzare il lavoro. Ecco, non lo accetto. Che taglio darà? Me lo fa rileggere prima di pubblicarlo? Non è facile parlare così con il cuore in mano…”.

Ma per prendere un cuore e tenerlo in mano bisogna appunto averlo. E’ il cuore che ti permette di attraversare più vite e di portare con te gli sguardi di tutti. Un orologio non ci riuscirebbe mai.

(foto d’archivio)


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI