PALERMO- Fiera,vaccini e nuvole… Scrive un poeta: “La mia ombra era l’ombra di un giovane, ma anche io sono l’ombra di un giovane”. La mia ombra, nello specifico, sembra quella di un Peter Pan sovrappeso, all’ingresso della Fiera del Mediterraneo, dalla parte di piazza Cascino. Vorrebbe staccarsi dal piede del presente e volare in un altrove mnemonico, quando, qui, affrontavi sfide ludiche al confine con la lavanda gastrica. Prima, quando, appunto, la Fiera era la Fiera, divoravi un calzone fritto che si misurava in chilometri e, subito dopo, salivi sul trabiccolo infernale di qualche giostra dell’ardimento che ti costringeva a una tenzone di pura tenuta viscerale. Era, sì, una sagra della palermitanità, di quelle che, indifferentemente, possono scapparci il caffè o la rissa del sabato sera. Ma devono esserci ancora le nostre ombre bambine, da qualche parte. E vorrebbero ricongiungersi, nonostante il trascurabile episodio della crescita.
Il padiglione ‘segreto’
Oggi, in Fiera – suppongo che sia un fatto noto – c’è l’hub vaccinale che fabbrica quasi sei-settemila punturine al dì per uccidere il Covid. Attraverso i riflessi mimetici di tendoni dell’esercito, mentre lo sguardo indugia su tamponatori che somigliano a un ghiacciolo squagliato, nelle tutine marziane, sotto il sole di un incipiente estate, mi avvio al padiglione ‘segreto’. Sanno tutti che c’è e non è difficile entrare, ma pochi, forse, ragionano su quanta precisa abnegazione si renda opportuna per mettere a punto la macchina sforna-inoculazioni. Per ogni medico ci vuole un informatico e poi un matematico, fino al volontario che organizza la merenda per tutti. Ecco perché ‘segreto’, nel nascondimento della fatica quotidiana che è immensa, può forse, per metafora dell’impegno, dirsi il padiglione che forma cuore pulsante e cervello insieme. I vaccini, come i bambini, non nascono sotto il cavolo delle fiabe, ci vuole una organizzazione teutonica. E, se sbagli, l’intera catena ne risente. Sono in transito per una chiacchierata in presenza. Come è cambiato il nostro vocabolario. Fino a qualche tempo fa sarebbe stato superfluo chiarire.
Nel regno del commissario
Oltre l’ingresso, si staglia una specie di paese delle api industriose, una miriade di volti chini su qualcosa che, a distanza, appare confuso. Sulla destra, ecco l’ufficio, il ‘regno’ del dottore Renato Costa, il commissario per l’emergenza Covid di Palermo e provincia, un medico sindacalista e comunista che lavora per un governo di centrodestra: dettaglio che può essere variamente interpretato. Costa funge anche da gigantesco parafulmine. Risponde al telefono a qualunque ora del giorno e della notte. Se lo chiami alle due notturne, magari perché vuoi sapere qualcosa sulla situazione ad Alia, lui c’è. Come ci sono i ragazzi della sua squadra che travagghiano, perché così rende meglio l’idea, a cominciare, in ordine di comparizione, da Stefania che cura la comunicazione con solerte puntualità. L’ufficio del commissario è, in realtà, uno stanzino. Nel ventre del pescecane di collodiana memoria si stava più comodi. Riunione, tutti con la mascherina. Arriva, proverbialmente, il caffè. Sguardi smarriti. Possiamo abbassare le mascherine per sorseggiarlo? L’assenso implicito evita che si intraprendano complicati esperimenti di assunzione auricolare della bevanda bollente.
La situazione dei vaccini
Siccome la cronaca comanda, l’incipit non potrebbe risultare diverso: commissario, come siamo messi con i vaccini? “I vaccini ci sono – la risposta -, non tutti quelli che possiamo somministrare che, al momento, sono circa seimila e cinquecento al giorno. Questa settimana siamo in affanno sulle secondi dosi di Pfizer, la prossima andrà già un po’ meglio, nel mese di giugno, così c’è stato promesso, avremo le dosi necessarie”. Un’occhiata all’esterno. La fila si snoda robusta, ma non interminabile. L’affollamento con picchi fantozziani, però, è quotidianamente in agguato.
Le nuvole sugli hub
Il commissario nazionale, il generale Francesco Figliuolo, ha tracciato la rotta in divenire: “Si dovrà valutare la possibilità di ricondurre l’attività vaccinale quanto più possibile nell’alveo di tutte le strutture ordinarie del Ssn arrivando a coinvolgere la totalità dei medici, pediatri, farmacisti ed altri operatori, al fine di realizzare un sistema di vaccinazione sostenibile e stabile nel tempo, senza dover ricorrere a misure emergenziali”. Come? Con il “graduale passaggio da vaccinazioni effettuate in maniera centralizzata presso gli hub vaccinali verso un sistema di vaccinazioni delocalizzate”. Si chiuderà allora? Ecco la seconda domanda. Il commissario risponde: “Non credo che sia utile, nessuno fa i numeri degli hub, raggiungendo tante persone sul territorio. Ovviamente, io non sono il decisore politico. Credo che gli hub debbano trasformarsi in strutture permanenti, visto che ci vaccineremo nei prossimi anni, sono un’arma vincente. E credo che si debba garantire il futuro ai ragazzi che stanno lavorando qui. Sono i protagonisti invisibili, nell’ombra o nascosti dietro le tute, che hanno affrontato la pandemia, realizzando la medicina sul territorio. Il solo pensiero che questo possa essere smantellato mi fa rabbrividire”.
I ragazzi nel cuore della Fiera
Segue una passeggiata tra i ragazzi-dottori che sono il cuore e il cervello della Fiera. E si raccontano nei video che campeggiano in una zona successiva del giornale. Ce n’è uno che ha salvato un gattino e se l’è portato a casa: è un argomento di discussione nelle ore del turno. All’ingresso, si chiacchiera animatamente: “Ma lui perché non mi ha salutato?”. Ogni comunità si riverbera nella somma dei suoi rivoli, prima di convergere verso un obiettivo. Ed è consolante scoprire che tutto – in amori, incomprensioni, amicizie e scazzi – ricorda la cara e vecchia umanità che abbiamo conosciuto fin qui. Tra i banchi di una scolaresca matura, perennemente impegnata nel compito il classe, si sussurrano desideri. Chi, appena sposata, immagina il viaggio che sarà. Chi narra della vicinanza con la sofferenza. Dal magma dei giorni pandemici verrà su una classe di grandi professionisti della Sanità, se non verrà smarrita la lezione della guerra in un successivo tempo di pace. All’esterno, Giusy e Giosuè governano la fila dei vaccinandi. Prego, uno scatto? Sorridono. Come sorridevano i ragazzi della Fiera, nella foto d’apertura, il giorno in cui Lello Analfino ha cantato la sua canzone di struggente amore.
“Lo vuole un gelatino”
E siccome tutte le catastrofi non possono, necessariamente, fare a meno della sopravvivenza e dell’economia, ecco che, all’ingresso dell’hub, c’è il carretto dello ‘Zio Totò’ che cerca di vendere gelati e acqua fresca alle persone in coda: “Lo vuole un gelatino?”. Come va, zio Totò? “Si travagghia, figlio mio, si travagghia, cerchiamo di portare un pezzo di pane a casa. Prima o poi a finiri…”. Sì, zio Totò, prima o poi finirà. Possiamo promettercelo davanti a questo tempio laico della salute che mette insieme la nostra paura di morire e la nostra voglia di rinascere. In via Sadat avanza una coppia anziana. Lui ha un basco parasole, lei un bastone per appoggiarsi. Si tengono per mano e somigliano a Filemone e Bauci, i vecchi innamorati che chiesero a Giove soltanto la grazia di potere chiudere gli occhi insieme, respirando lo stesso amore. Li conservo con me, mentre torno verso la macchina, accompagnato dalla mia ombra cucita al piede. Mentre una voce sgorgata da chissà dove chiede: “Ragazzo, ragazzo, perché piangi?”.