Durante i mesi più bui dell’emergenza Covid, il tempo sembrava rallentato. In realtà, secondo la scienza, il nostro cervello avrebbe vissuto un vero e proprio invecchiamento accelerato.
A sostenerlo è uno studio condotto dall’Università di Nottingham e pubblicato su “Nature Communications”, che conferma una sensazione diffusa ma finora poco documentata: la pandemia avrebbe avuto un impatto non indifferente sulla salute cerebrale.
Il gruppo di ricerca, coordinato dal dottor Ali-Reza Mohammadi-Nejad del Queen’s Medical Centre, ha sviluppato un modello predittivo basato sull’intelligenza artificiale per valutare l’età biologica del cervello.
Covid e cervello, i danni invisibili della pandemia
Analizzando parametri come il volume della materia grigia e lo spessore corticale, i ricercatori sono arrivati a una conclusione allarmante: in media, il cervello umano avrebbe subito un’accelerazione dell’invecchiamento pari a circa cinque mesi e mezzo durante la pandemia da Covid-19.
Lo studio ha coinvolto oltre 15mila soggetti in buone condizioni di salute, con un’età media di 62 anni, i cui dati erano conservati nella vasta banca dati sanitaria UK Biobank. I risultati indicano che, a parità di condizioni fisiche e mentali pre-pandemia, la crisi sanitaria ha inciso pesantemente sul benessere cerebrale degli individui, innescando una serie di mutamenti spesso impercettibili ma rilevabili attraverso strumenti avanzati.
La condizione sociale ha avuto un ruolo determinante: gli uomini in situazioni economiche e relazionali fragili sono stati i più colpiti, anche senza aver contratto il virus. Ma non è tutto. Un’altra indagine, condotta sempre nel Regno Unito, ha rilevato che nei casi più gravi di infezione da Covid-19, l’età cerebrale dei pazienti è aumentata fino a vent’anni nel giro di dodici mesi.

La ricerca sugli adolescenti
Anche oltreoceano le evidenze vanno nella stessa direzione. Una ricerca dell’Università di Washington, focalizzata sugli adolescenti durante il lockdown, ha documentato segni precoci di invecchiamento cerebrale. Le ragazze, in particolare, avrebbero mostrato una vulnerabilità maggiore: le loro scansioni cerebrali post-pandemia risultavano in media più vecchie di 4,2 anni rispetto all’età reale, contro 1,4 anni rilevati nei coetanei maschi.
Secondo la ricercatrice Caitleen Kuhl, le differenze risiedono nella diversa struttura sociale delle relazioni giovanili: “Le ragazze chiacchierano e condividono le loro emozioni. Sono molto più dipendenti (rispetto ai ragazzi) dall’interazione sociale per il loro benessere e per il loro sano sviluppo neurale, fisico ed emotivo”.
Gli effetti del Covid sul cervello non sono tutti permanenti
Nonostante i numeri preoccupanti, i ricercatori invitano a non cedere al pessimismo. Lo stesso team dell’Università di Nottingham ha sottolineato che non tutti i danni sono permanenti: la neuroplasticità del cervello offre margini di recupero, soprattutto in presenza di interventi mirati e stili di vita salutari.
Le cicatrici psicologiche della pandemia, dunque, esistono e sono state mappate scientificamente. Ma non sono necessariamente irreversibili. Comprendere questi meccanismi è il primo passo per affrontarli.
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