Covid-19, un anno in terapia intensiva: il viso dell’infermiera - Live Sicilia

Covid-19, un anno in terapia intensiva: il viso dell’infermiera

Quel selfie che ci dice quanto è ancora lunga la battaglia contro il virus

CATANIA – Agata Guglielmino, infermiera della medicina d’urgenza al San Marco di Catania, ha il viso solcato dai segni della mascherina. Una foto sui social che non lascia indifferenti, che congela una scena che si ripete tale e quale da oltre un anno, ad ogni cambio di turno. “Quei segni che vede in foto – spiega a Live Sicilia – per fortuna non ci sono più , purtroppo quello che non va via sono le cicatrici che mi porto dentro…”

La prima linea

Guglielmino parla con la forza di chi sa com’è fatta la prima linea. “Ci sono momenti di quel reparto – spiega ancora – che vorrei cancellare ma che non riesco, sensazioni spiacevoli, senso di impotenza, sconfitta, volti di alcuni pazienti che non c’è l’hanno fatta, la solitudine di quelle persone che hanno dovuto affrontare l’intero percorso da sole senza un abbraccio o una carezza del proprio familiare accerchiati da occhi sconosciuti”.

Non solo un lavoro, ma anche una missione che “ti riempie e ti svuota contemporaneamente, perché cerchi di sopperire a tutte le loro mancanze e ti fai carico delle loro sofferenze! Insomma vivo un po’ di odio e di amore questo lavoro”. Per fortuna ci sono anche le soddisfazioni, che arrivano con “le bellissime lettere dei pazienti che tornano a casa e che ci esprimono la gratitudine di chi ha creduto in noi e nel nostro operato. Ma ci sono anche i messaggi che arrivano nel gruppo tra medici, infermieri e oss quando dopo una giornata pesante ci sosteniamo a vicenda”.

Lo sfogo

C’è tuttavia tanta stanchezza nella testimonianza di Gugliemino. “Non le nascondo che siamo esausti – aggiunge – è veramente dura. Come dice un mio collega, sembriamo degli infermieri che lavorano per la Nasa ma senza ricompensa, se non quella emotiva che ci donano i pazienti. Perché il nostro stipendio, le nostre ferie, i nostri contratti sono rimasti invariati. Questo ci tengo a precisarlo perché la cosa che più infastidisce e sentire il chiacchiericcio di gente estranea ai fatti parlare di teorie complottiste, di stipendi gonfiati”.

Uno sfogo che tuttavia non opprime quel senso di speranza che anima chiunque indossi il camice. Quella speranza si chiama vaccini. “Spero vivamente che la gente agisca con coscienza senza farsi influenzare dalla mala informazione, perché come ho scritto nel post sui social, noi siamo la Resistenza ma siamo fortemente provati e non so fino a quanto un corpo possa resistere in queste condizioni”.

Il proverbio

Le ultime parole prima di tornare a lavorare. “La lascio con un proverbio che mi ha colpito: Un giorno tre autunni. Lo si usa quando una persona manca così tanto che un giorno pesa quanto tre anni. Lo cambierei in 12 mesi, un decennio“. E già. Perché Agata Guglielmino, oltre a essere una donna in corsia, ha una vita fuori. “A me manca così tanto la mia vita, la mia spensieratezza, anche nel poter abbracciare mia madre, mancano i miei viaggi, mancano le mie amiche, manca poter lavorare con serenità. Manca la mia quotidianità. Così come credo che manchino al resto della popolazione. Quindi – ecco il messaggio finale – cerchiamo di fare ognuno la nostra parte, con la speranza di uscirne il prima possibile”.


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