CATANIA. Una grande voce ed un notevole talento. Abbiamo incontrato la catanesissima Cristina Russo: e ne è uscito un bel racconto.
Qual’è il primo ricordo che hai di Catania, che immagini sono rimaste cristallizzate nella tua mente di quegli anni?
Il primo ricordo di Catania sicuramente è in via Etnea, da piccola, insieme ai miei genitori, mano nella mano, nel periodo di Sant’Agata, con tutto quel fragore e quella gente, quello scalpitio, quel vociare, quell’energia, quello zucchero filato, e le mandorle che scrocciavano.
Mi ricordo questo, sì.
Il mio primo ricordo di Catania è proprio legato alla nostra Santa, alla nostra Santuzza, Sant’Agata.
Cosa significa nascere a Catania per una cantautrice?
Nascere a Catania per una cantautrice è importante, è significativo, perché viviamo dell’energia del mare, viviamo dell’energia dell’Etna, della montagna.
Come dico spesso, quando mi chiedono da cosa è influenzata la tua musica, sicuramente siamo influenzati dal posto in cui viviamo, e noi viviamo in un contesto, in una città meravigliosa, che ha tutto.
Quindi siamo molto fortunati e questo influenza anche, a livello di contaminazione, quando crei, le tue creature, che avranno delle sfaccettature diverse.
Infatti, quando facciamo musica con Marco di Dio, mio marito, nonchè il mio produttore, mettiamo dentro tutto quello che la nostra anima subisce, quello con cui noi veniamo a contatto, la nostra Catania, in questo caso.
A cinque anni hai iniziato a dilettarti con microfono e registratore, a 17 avevi prodotto il tuo primo album, insieme ai Guernica, ti senti una predestinata?
A cinque anni ho iniziato a dilettarmi con il microfonino, e a sovraincidermi per divertimento: cantavo, suonavo il flauto dolce, e mi piaceva ascoltare la mia voce.
Poi ho iniziato con una prima band femminile, “ Fack Up”, con la quale facevamo cover: Pixies, Smashing Pumpkins, Cranberries, ovviamente.
A diciassette anni l’inedito, Guernica, e là si è aperto un mondo, perché io ho sempre amato cantare, inventare delle melodie, e questa cosa, che già era in essere quando avevo pochi anni, poi è diventato il mio lavoro, scrivendo per altri ed anche per me stessa.
Nel 2009 esce il tuo primo album da solista, ““Sciuri Sciuri”. Hai avuto la percezione che la tua vita stesse cambiando in quel momento?
Nel 2009 esce “Sciuri sciuri”, con i Siculounge Project, il mio primo progetto discografico all’esterno, con una band dove all’interno abbiamo Marco Di Dio, Nicola Falco, Gaetano Rubulotta, Sergio Garofalo, dei bravissimi jazzisti, e decidiamo di rifare queste canzoni siciliane in chiave jazz-fusion, non la solita tarantella, ma una riarmonizzazione.
Quel disco è significativo perché mi porta in un’altra direzione, un percorso anche di studio, con dei musicisti importanti, dove io mi sono reinventata.
In quegli anni vivevo in provincia di Enna, a Nicosia, la mia seconda casa, e quindi ho vissuto la montagna e l’aria fina. Questo disco è nato così.
Nella tua carriera vanti collaborazioni veramente prestigiose, una su tutte quella con Fabio Concato. Provi a raccontarci com’è stato questo confronto artistico?
Cosa succede dopo questo Siculounge Project? Tramite Halidon, che era la nostra etichetta di allora, Marco ha uno scambio epistolare con Fabio Concato.
Fabio è alla ricerca di una band che possa rielaborare e organizzare dei suoi brani e così gli presentano questo disco e lui va matto per questo sound così riarrangiato e ci chiede di riarrangiare anche dei suoi brani. Noi decidiamo a quel punto, coraggiosamente, di andare a scegliere delle canzoni non del mainstream, ma le canzoni meno conosciute, più di nicchia. “
Pesciolino”, mi sembra che era del ‘78, qualcos’altro dell’84. Poi però ci mettiamo dentro anche delle canzoni che a me piacciono tantissimo e che sono più note, come “Tienimi dentro te” e “Ti ricordo ancora”, in cui ci sarà il featuring con Fabio.
Hai la fortuna di condividere questa avventura musicale con tuo marito. L’amore ha reso tutto più semplice?
Sicuramente il nostro incontro per me è stato importante. Ho lavorato con tantissimi studi, con tantissimi produttori e nella mia vita ho fatto vari generi di musica, ma da quando ho conosciuto Marco è cambiato tutto. Lui ha una una dote: saper vestire esattamente l’artista di quella che è la sua essenza e di quello che vuole dire in quel momento.
Sono nate delle opere per me molto belle e lavorare insieme chiaramente da una parte è bello, dall’altra ovviamente bisogna fare i conti anche con lo scontro, perché un marito e una moglie che vivono e condividono un letto e poi vanno anche a condividere uno studio, quindi un ambito professionale, non sempre hanno vita facile.
Devo dire però che riusciamo ad arrangiarci.
Come dico sempre, si deve stare attenti a capire qual è il proprio posto in quel momento, qual è il lato del letto.
Quest’anno hai debuttato a teatro con “Devi aver paura”, per la regia Francesca Ferro. Com’è stato calcare le tavole di un altro tipo di palcoscenico?
Quest’anno ho debuttato in teatro con “Devi avere paura”, con Guia Jelo e la regia di Francesca Ferro.
È stata per me la prima esperienza di teatro e musica, un’esperienza importante. Abbiamo già debuttato con una prima e poi sarà allo Stabile di Catania a fine gennaio. Per me “Devi avere paura” è molto significativo.
E’ uno spettacolo contro l’uso della droga dove interpreto delle cantanti note, dei cantanti, che per uso ed abuso di sostanze stupefacenti, purtroppo, anche se hanno creato il mito, oggi non ci sono più.
È una bella avventura e questa storia avrà un bel seguito in Italia.
Johann Sebastian Bach diceva che “La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori”. Quanto è stato importante per te rompere questo silenzio?
Il silenzio che c’è fuori viene placato dalla musica che c’è dentro di noi e la musica che c’è dentro, deve sprigionarsi fuori. Anche se non è sempre facile, fare uscire fuori quello che abbiamo dentro, l’emozione, rompere il silenzio della noia, della gente, delle ipocrisie, con i tuoi pensieri, con quello che vivi, è veramente sublime.