"Crocetta non può fare da solo | Lupo? Il Pd deve voltare pagina" - Live Sicilia

“Crocetta non può fare da solo | Lupo? Il Pd deve voltare pagina”

Antonello Cracolici parla a tutto campo. Offre dei suggerimenti al presidente della Regione, tira le orecchie ai rottamatori dell'ultima ora e affossa Giuseppe Lupo...

Intervista a Cracolici
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PALERMO- “Crocetta deve capire che non può fare tutto da solo”. Per Antonello Cracolici è giunto il momento. Il momento in cui il governo deve rispecchiare (e contenere) le forze che lo sostengono. Il momento in cui il suo partito, il Pd, si decida a tracciare un progetto politico finalmente chiaro. È giunto il momento, secondo Cracolici. Che non le manda a dire, incurante del rischio di apparire antipatico. “Vedo in giro rottamandi che rottamano e gente pronta a salire sul primo autobus…”.

Le solite tensioni interne al suo partito, onorevole?
“Guardi, le dico la verità, in questi giorni il Pd sta compiendo uno sforzo per trovare un’unità maggiore del passato. Certo, c’è da lavorare”.

Venerdì in un vertice avete “fatto spogliatoio”, quindi, vi siete un po’ chiariti, fra esponenti di varie correnti. C’eravate tutti.
“Sì. Ma al di là degli aspetti puramente politici, abbiamo approfondito alcune questioni che riguardano i siciliani. Ci sono emergenze che meritano interventi immediati. Penso alla vicenda dei precari degli enti locali…”.

Il suo partito è stato molto critico nei confronti del decreto del ministro D’Alia.
“E lo sono anch’io. Ma non dobbiamo fare l’errore di trasformare la questione in una vicenda personale. Il fatto che il ministro sia siciliano non vuol dire nulla. È parte di un governo nazionale, e le leggi sono il frutto sempre di un lavoro collegiale. Una cosa però è certa: con questo decreto, la normativa riguardante i precari non solo non migliora, ma fa persino qualche passo indietro rispetto, ad esempio, al decreto Prodi, che risultò in parte inefficace solo perché i Comuni non avevano approvato le piante organiche. Sul decreto di D’Alia c’erano certamente enormi aspettative, un’attesa in gran parte delusa”.

Alla riunione di qualche giorno fa in un hotel di Palermo c’era anche il presidente Crocetta. Avrete parlato di precari, certo. Ma immagino che abbiate chiarito un po’ di dubbi, avrete fatto un bilancio di questi dieci mesi di governo.
“È così. C’erano, e ci sono ancora delle questioni da chiarire. Ma bisogna partire da un fatto: i meriti di Crocetta sono sotto gli occhi di tutti. In questi mesi ha innescato meccanismi di rottura col passato, ha rimesso in moto la spesa europea, ha messo le mani sulla Formazione, ha rivoluzionato le Province. Insomma, il presidente sta lasciando il segno”.

E allora? Cosa c’è da chiarire? Mi sembra un quadro assolutamente positivo.
“Il punto è uno. Crocetta, come è noto, usa spesso la parola ‘rivoluzione’. Io mi chiedo: può un uomo solo sopportare il peso, reggere questa idea di rivoluzione? Può farlo, insomma, senza il supporto del sistema politico? O, peggio, in alcuni casi addirittura ponendosi in conflitto con questo? Ecco, io penso di no. Io penso che se si vuole davvero portare avanti una rivoluzione, si debba fare lo sforzo di prendere le decisioni in maniera collegiale, coinvolgendo più soggetti possibili”.

Insomma, Crocetta sta andando avanti un po’ per conto suo…
“In alcuni casi, mi pare evidente. E ripeto, credo sia un errore”.

A cosa si riferisce in particolare? Ultimo motivo di frizione, ad esempio, tra il governatore e il suo partito, è una certa disinvoltura nelle nomine in diversi enti regionali. Nomine che in alcuni casi, penso all’Irsap, hanno ricevuto persino una bocciatura dall’intero parlamento.
“La questione nomine non è il motivo del disagio, ma la modalità con la quale sono decise le nomine rappresenta proprio la dicotomia tra due modelli. Quello di chi decide sapendo di far parte di un collettivo e quello di chi pensa si possa sempre agire da solo. Parliamo chiaro: apprendere di certi nomi sui giornali non è bello. E di certo non fa bene al governo”.

Per restare all’Irsap. In tanti rimproverano a Crocetta di ignorare i partiti e di cercare altrove il sostegno alla propria azione di governo. Penso all’influenza della Confindustria siciliana.
“Io credo che il legame tra la Confindustria e questo governo sia senz’altro positivo. La nuova Confindustria si è posta in sintonia con la voglia di cambiamento che giungeva da ampi strati della Sicilia. Ma è importante che si capisca una cosa: la Confindustria non è la Sicilia. Non la rappresenta tutta. Anzi, è solo un pezzettino dell’Isola che a differenza di altre forze sociali ha magari maggiori strumenti per influenzare l’azione di governo. Ma l’esecutivo non può concedere a Confindustria una sorta di ‘esclusiva’. Bisogna dialogare anche con le altre forze sociali e produttive. Renderle partecipi. Anche perché quelle rappresentano sì la maggioranza dei siciliani”.

Anche i rapporti tra l’esecutivo e il parlamento non sono stati molto sereni in questi mesi. Più volte è filtrata l’idea di un’Assemblea come ‘luogo dei privilegi’ che si oppone alla volontà ‘rivoluzionaria’ del governatore. È così?
“Non è così. Anche perché lo stesso governatore è un deputato. Fa parte del parlamento. E il parlamento è, piaccia o meno, lo specchio della società. Non esiste, insomma, un parlamento cattivo e una società buona. La società è quella che è. E di conseguenza il parlamento”.

Ritorniamo al punto, insomma. Si può fare politica senza “la” politica?
“Esatto. E io l’ho ripetuto in più occasioni al presidente Crocetta. Non può pensare di governare allontanando i politici dal governo. Anzi, addirittura sforzandosi di rendere esplicita questa presunta estraneità dalla classe politica. Se a delegittimare la classe politica sono gli stesso politici… Non c’è davvero speranza”.

Andiamo al sodo, onorevole. Lei pensa che il governo vada ritoccato attraverso la presenza di qualche esponente politico?
“Non ho nessun problema a dirlo. Veda, sono passati dieci mesi. Credo sia giunto il momento di fare un bilancio. E di vedere come rafforzare, consolidare questo governo. Credo che la Sicilia oggi abbia bisogno di un governo forte e autorevole”.

Questo non lo è?
“Io non ne faccio una questione di ‘persone’. Però rendiamoci conto di una cosa. Questo governo nasce con assessori come Battiato e Zichichi. Vorrei ricordare che quando Crocetta scelse lo scienziato, io fui tra i pochi a dire: ‘vediamo quanto dura’. E non mi pare di essermi sbagliato. Quel modello, ‘il governo dei nomi’ è durato poco”.

Ma è stato sostituito dal governo delle segretarie e dei fedelissimi…
“La verità è che questo è, molto semplicemente, il governo del presidente. E credo sia rischioso andare avanti così”.

Rimpasto quindi. Ma chi dovrebbe entrare, secondo lei, nel governo? I partiti che hanno sostenuto Crocetta fin dall’inizio (Pd, Udc e Megafono) o bisogna aprire anche ai gruppi di nuova formazione, come quelli dei Democratici e riformisti o ad Articolo 4?
“Io, prima dei nomi, partirei dalla necessità di convenire tutti su un progetto politico comune, condiviso. Poi verranno i nomi. I Drs e Articolo 4? Sono deputati eletti per la maggior parte, con i partiti che hanno sostenuto Crocetta già in campagna elettorale. Non mi scandalizzo per la formazione di nuovi gruppi, è fisiologico”.

Ma Crocetta sembra non volerne sapere. Se lui insistesse sul modello dei ‘tecnici-fedelissimi’, cosa succederebbe?
“Penso che il mio partito dovrebbe valutare attentamente la cosa. Certo, il governo lo fa il presidente. E Crocetta ci ha confermato la sua intenzione di sentirsi a tutti gli effetti, un dirigente del Pd”.

Quindi chiariti i dubbi sul Megafono? La decisione di qualche mese fa della commissione di garanzia del partito l’ha convinta?
“La Commissione è stata chiarissima su un punto: non può esistere la doppia militanza. Non si può, insomma, un giorno ragionare da esponente del Pd, e il giorno dopo da politico del Megafono. Io non sono contrario al fatto, ad esempio, che il Megafono costituisca un suo gruppo all’Ars. Ma è chiaro che il movimento non può pensare di strutturarsi quasi come alternativa al Pd. O addirittura in una posizione antagonista. Ma Crocetta ci ha confermato che non ha questa intenzione”.

Raccontata così sembra molto semplice. Ma poche settimane fa, alle elezioni amministrative, in alcuni importanti centri il Pd e il Megafono sono stati addirittura avversari.
“Certo, quelle sono state delle degenerazioni. Ma un movimento che facesse capo al candidato alla presidenza, nel centrosinistra c’è sempre stato. Sia con Rita Borsellino, sia con Anna Finocchiaro. Una strategia che serve per far convergere attorno alla figura dell’aspirante presidente, fette di elettorato non del tutto riconducibili ai partiti. Ma è inaccettabile che da questo si passi a una struttura antagonista al Pd. Soprattutto considerato il fatto che gli esponenti del Megafono continuano a dichiarasi membri del Partito democratico”.

A proposito del suo partito. Esiste questa benedetta questione morale? Esistono questi conflitti di interesse da debellare addirittura attraverso una norma contestata e poi per gran parte bocciata dal Commissario dello Stato?
“La questione esiste, eccome. Ma non si deve commettere l’errore di legarla semplicemente alle ipotesi di reato. Prendiamo il caso di Vitrano. Secondo l’accusa è stato arrestato con in tasca una mazzetta. Ma per me è altrettanto grave il resto. Che da uomo politico tu possa influenzare le autorizzazioni per il Fotovoltaico. Ma di situazioni ambigue in Sicilia ne vediamo da anni. Se pensiamo che qualche anno fa l’assessore alla Sanità era Cittadini, della famiglia che gestisce le più grosse cliniche private dell’Isola. Certo, ormai siamo abituati a tutto. Viviamo in un Paese che si divide sul fatto di dare esecuzione alla sentenza a carico di Berlusconi, mentre il povero Salvino Caputo, per lo stesso motivo, è stato estromesso dall’Ars in pochi minuti…”.

Torniamo al suo partito però. Lei parla di progetto da definire, di collegialità delle scelte. Che intende dire?
“Intendo dire che oggi sembra ci siano due idee di Pd. Qualcuno lo considera uno spazio politico, altri un soggetto politico. Io preferisco questa seconda idea. Lo ‘spazio politico’ è un modo per dire: mettiamo tutto in mano a un leader, e ognuno fa quello che vuole. Un soggetto politico invece ha delle regole, si muove unito. E io penso a un partito con un’anima di sinistra, ma di una sinistra moderna, senza anelli al naso e senza ideologismi”.

Lei crede che in vista dell’ormai imminente congresso regionale si possa trovare un segretario che possa fare ‘sintesi’? E le chiedo: esclude che l’attuale segretario Lupo possa essere confermato?
“Sarò molto chiaro: io credo che oggi il Pd debba aprire a una fase nuova e a una nuova classe dirigente. Insomma, non credo ci siano le condizioni per la conferma dell’attuale segretario”.

Lei parla quasi da “rottamatore”. Che idea si è fatto dei renziani di Sicilia? Tutta gente che lei conosce benissimo da Fabrizio Ferrandelli a Davide Faraone…
“In effetti Ferrandelli è stato molto vicino a me. Ma so che in politica la fedeltà non esiste. Esiste semmai la lealtà e la coerenza. E ultimamente noto una certa disinvoltura da parte di chi predica il rinnovamento, a spostarsi di qua e di là. Conosco poi Davide Faraone da tantissimi anni. E so che ha un’idea di Pd molto vicina alla mia. Ma, mi rendo conto, è passato l’autobus di Renzi e lui non ha voluto perderlo”.

Un autobus sul quale sembrano voler salire in tanti. Gli ultimi endorsement quelli dei due sindaci delle città più importanti della Sicilia: Enzo Bianco a Catania e Leoluca Orlando a Palermo.
“Ecco, la cosa che mi dà più fastidio di questa fase politica è il fatto che molti ‘rottamandi’ di fronte alla possibilità di approfittarne, si trasformino in rottamatori. Ho letto che Orlando ha deciso di aderire alla battaglia di Renzi per cambiare il Partito democratico. Peccato che lui del Pd non faccia parte. E peccato che finora, più che cambiare un partito, non abbia fatto altro che cambiare partiti”.

 

 

 

 

 


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